Gestione dell'allevamento, alimentazione, incubazione, ricoveri, predatori, razze e curiosità
09/05/2013, 7:53
No Pedru non è cosi ! Ti propongo un testo e ti evidenzio dove sbagli:
Il modello classificatorio biologico come ispirazione
Nelle scienze biologiche la classificazione è un concetto che si riferisce alle modalità con le quali i biologi raggruppano, sistemano e categorizzano le varie entità al cui fondamento si trovano le specie di organismi viventi e fossili.
A partire dal sistema di Carolus Linnaeus (Linneo), istituito con la pubblicazione del Systema naturae con il quale cercò di riunire le specie in base alle caratteristiche morfologiche condivise, questi raggruppamenti furono ininterrottamente riesaminati e aggiornati perfezionandoli, fino a quando essi furono riletti secondo le teorie evoluzioniste di discendenza filogenetica proposte da Charles Darwin.
La classificazione degli animali, può essere anche letta come il raggruppamento di un certo numero di individui con una determinata somoglianza fra loro; la zootecnia e la genetica si occupano e danno un significato particolare agli ultimi gruppi, cioè a quelli che vanno dalla specie all’individuo.
A questo punto è utile introdurre il concetto di “polimorfismo” ossia quel fenomeno per cui individui della stessa specie e con la stessa componente genetica si sono notevolmente differenziati, sopratututto nello stadio definitivo di sviluppo. Avremo così un polimorfismo ambientale, un polimorfismo stagionale, un polimorfismo (e nel caso degli animali domestici, un dimorfismo) sessuale, tutti di natura somatica. Generalmente questo riguarda gruppi piuttosto numerosi ed estesi.
Tuttavia è bene tener presente che la classificazione ha un valore più che altro astratto, mentre in natura non vi sono divisioni ben precise da un gruppo all’altro. Lo prova il fatto che gli stessi zoologi danno una interpretazione non sempre concorde alle parole specie,ordine, classe, genere, ecc. Ad ogni modo una classificazione e grandemente utile per capire alcuni concetti generali.
La classificazione scientifica è il risultato delle scienze evolutive e deriva in parte cospicua dalla tassonomia e dalla sistematica, oltre che da tutti gli studi e le ricerche condotte per indagare sui viventi, sia dalla biologia sia da altre discipline scientifiche.
Analogamente a quanto succede nella sistematica biologica, anche nella etnologia zootecnica si assiste a periodiche revisioni sistematiche che si propongono di ricollocare determinati organismi prima classificati in un modo, in un ordine dinamico più appropriato.
Tali revisioni in biologia comprendono in genere cambi di ordine, di genere o di specie. Sottospecie che assurgono a nuove specie, forme geografiche che vengono ricollocate o declassate a fasi di colore, etc.
Le revisioni sistematiche introducono la possibilità di effettuare notevoli variazioni su schemi predefiniti e ridisegnano intere classi zoologiche alla luce delle nuove scoperte.
Concetto di specie
Della parola specie sono state date parecchie definizioni ed è anche stato detto che in natura non vi sono specie, ma. solo individui più o meno simili fra loro.
A tale proposito lo zoologo Regan afferma : ”una specie é ciò che un sistematico competente considera come una specie.
Come é noto per Linneo, Buffon, Cuvier, Agassiz, ed altri la specie é qualche cosa di assoluto e di immutabile, una forma cioè che può sparire ma non modificarsi nei suoi caratteri fondamentali. Essi ammettono si, la possibilità di modificazioni leggere, di modesti scarti morfologici costituenti le razze, ma sempre entro limiti ristretti.
Per dire il vero lo stesso Linneo aveva notato che le specie da lui identificate si frazionavano, sovente, in unità minori e talvolta costituivano forme intermedie fra specie e specie, ma a ciò non diede che importanza relativa (Varietates laevissimas non curat botanicus); invece A.Jordan nella sua opera del 1850 (Notes sur diverses espèces) dimostrò che spesso queste unità minori erano diventate delle vere e proprie “bonae species” con caratteri stabili. In generale, oggi, pur accettando le specie linneane, si ammette il loro frazionamento in unità minori o specie jordaniane dette pure piccole specie.
Cuvier a proposito delle specie diede una propria definizione “specie è una collezione di individui che si assomigliano più fra di loro che ad altri e che sono indefinitamente fecondi“.
Per l’Emery (la specie e un complesso di individui, cui l’affinità del plasma germinale e la possibilità dell’accoppiamento, in condizioni normali, consentono di generare una progenie continua e perpetua, simile alla serie dei progeniteri ».
Secondo le vedute del Komarov :”la specie e un’insieme di generazioni differenziate dal rimanente mondo di organismi per mezzo della selezione naturale sotto l’influsso dell’ambiente e della lotta per l’esistenza “.
Per il Dobzhansky “la specie è lo stadio del processo evolutivo in cui una serie di forme attualmente o potenzialmente interfeconde si scinde in due o più serie distinte fisiologicamente incapaci di riprodursi inter se”, in questa definizione è unito il concetto evoluzionista ed il concetto della fecondità come limite della specie. Così che la specie, secondo questa definizione, rappresenta una determinata tappa nel processo dell’evoluzione ed e strettamente legata all’ambiente, il quale ambiente e anch’esso in continua, se pur lenta, evoluzione. Si hanno e si possono definire pertanto “specie in essere” quando non avendo facoltà di adattamento alla mutevolezza, sempre lentissima dell’ambiente, sono destinate ad estinguersi; e “specie in divenire” quando si verifica un accumulo continuo di variazioni anche se impercettibili, oppure cambiamenti di notevole
entità fino a dare l’impressione di un salto tale da originare una nuova specie.
Per Kurn le specie sono: “associazioni ereditarie naturali, gruppi di individui che in un corrispondente stadio di sviluppo ed in analoghe condizioni di ambiente, sono pressochè uguali nelle forme e nelle funzioni e sono tra loro fecondi”.
Il Kalmus l’ha definita “un gruppo di organismi interriproducentesi formante una popolazione continua nel senso statistico del termine”.
L’Hurst ha dato definizione delle specie basandosi sul patrimonio genetico: “la specie è un gruppo di individui di origine e di caratteri comuni con gruppi di cromosomi costanti e caratteristici portanti geni omozigoti e di forma fertili fra di loro ma sterili con specie diverse” .
Per Parisi,: “per specie si intende un complesso di individui con una certa somiglianza fisica e con costumi di vita simili, nonchè capaci di riprodursi inter se dando progenie illimitatamente feconda”. Naturalmente il patrimonio genetico deve essere uguale per tutti gli individui della specie sebbene possa subire modiche differenze con formazione di gruppi subspecifici.
Le specie si distinguono fra di loro per struttura anatomica (scheletro, denti, numero e forma dei cromosomi, ecc.), per caratteri fisiologici (generalmente sterilità dell’ibrido, durata di gestazione o di incubazione, attitudini, resistenza alle malattie, ecc.) e per composizionee chimica dei tessuti, degli escreti e delle produzioni (sangue, latte, urina, ecc.).
Le specie si mantengono generalmente indipendenti le une dalle altre perchè o viventi in aree geografiche isolate o per avversione sessuale degli individui di specie diversa ad accoppiarsi fra loro o per estri staginali diversi o per ostacoli meccanici all’accoppiamento o per mortalità prenatale degli ibridi o per sterilità di questi in uno od ambo i sessi.
La visione dell’ibrido infecondo come limite alla specie è stato attalmente rivisto alla luce della moderna zoologia. Tutto ciò è dovuto alla sostanziale presenta di ibridi interfecondi in modo continuativo.
Per ibrido in zoologia si intende un individuo generato dall'incrocio di due organismi che differiscono per più caratteri, si riferisce al risultato di un incrocio tra due animali o piante di diversi taxa con alcuni sottocasi.
a) Ibridi tra i diversi generi (ibridi intergenerici).
b) Ibridi tra specie diverse all'interno dello stesso genere (ibridi interspecifici).
c) Ibridi tra le diverse sottospecie all'interno di una specie (ibridi intraspecifici).
Estremamente rara si verifica anche l'ibridazione interfamiliare; capita ad esempio con la faraona, nei generi Agelastes, Numida, Guttera, Acryllium.
Esempi classici di ibridi in uso in zootecnia sono il mulo e bardotto derivati dall’accoppiamento fra cavallo/a e asino/a.
Un ibrido assai utilizzato in avicoltura è il così detto “Mulards” dei francesi, Ibrido sterile che deriva dall'incrocio interspecifico fra anatra di Barberia (Cairina moschata) e anatra comune (Anas platyrhynchos)
Razza e popolazioni
Parte proprio da questo concetto di continuità classificatoria il primo significato abbozzato di razza che si proponeva di fare ordine all’interno delle molte popolazioni zootecniche esistenti.
Inizialmente alcuni zootecnici del passato (Sanson per primo) adottarono uno schema classificatorio per le razze zootecniche, proponendo per esse una classificazione binomiale sul modello biologico. Nacquerò cosi termini come per esempio: Sus asiaticus, Sus celticus, Ovis aries ligeriensis, Bos taurus batavicus, etc.
In questo modello il termine di riferimento alla razza si collocava e sovrapponeva con il termine di specie o sottospecie a seconda dei casi, e di fatto creava un legame con la classificazione linneiana.
In seguito il concetto di razza si slega dalle forme selvatiche progenitori delle razze domestiche, e si giunge ad un nuovo concetto di razza che abbandona la terminologia linneiana ed attribuisce un nome singolo alla razza. Spesso il nome della razza comprende una indicazione geografica in cui si colloca la popolazione (ad esempio: bovino Piemontese, Chianino, Romagnola; pecora Appenninica, Girgentana, Padovana; pollo Livorno), anche se non sempre il termine geografico con cui viene designata una razza corrisponde a pieno col territorio di diffusione, origine e selezione.
Sono inoltre note razze il cui nome fa riferimento a particolari caratteri distintivi (ad esempio: pecora Cornella bianca, pecora Balestra, coniglio Bianco di Nuova Zelanda, tacchino Nero di Sologna, tacchino Bianco d’Olanda, suino Large White, ecc).
Esistono casistiche in cui il nome richiama al ceppo o al progenitore su cui si sono concentrate le operazioni di selezione (ad esempio: Podolica - razza del Sud Italia, Poland China - razza suina Americana).
Altre volte seppure la razza porti un nome di riferimento ad un determinato territorio questo non rappresenta che un nome di fantasia, slegato quindi dalle vere origini della razza (Es. coniglio Giapponese - razza europea).
Richiami storici
Evoluzione del concetto di razza secondo alcuni zootecnici del passato
MAGNE : Races Chevalines Francaises.
Le specie non sono sempre omogenee e si chiamano Razze i diversi gruppi che le rappresentano.
La domesticità del cavallo ci permette di realizzare delle modifiche sulle forme, sul temperamento e sulle qualità degli animali.
Facendoli generare nello stato di domesticità, si creano delle Razze e delle Sottorazze e si possono stabilire varietà.
COLIN : Fisiologo
Le Razze animali si formano basandosi su due elementi :
a) Tipo – considerato un tipo specifico lo stesso può variare entro certi limiti
b) Ereditarietà – ottenute delle variazioni le medesime devono essere ereditate dai discendenti con regolarità.
La Razza è un prodotto dell’ambiente e si può produrre quasi a piacimento nel tempo.
SANSON :
La Razza è il “complesso degli animali i quali in virtù della legge di natura godono della facoltà di riprodursi indefinitivamente perpetuando il tipo loro”.
La Varietà è un gruppo di individui della stessa razza che hanno uno o più caratteri comuni.
Lo studioso riconobbe più origini nella specie cavallina, identificò otto differenti razze che riconosceva nel cranio e nel rachide, ritenne quindi che al di fuori di queste razze non vi erano che delle varietà.
1) Africana 2) Asiatica 3) Irlandese 4) Britannica 5) Germanica 6)Frisia
7) Belga 8) Sequana
QUATREFAGES:
La Razza è “L’insieme di individui simili della stessa specie, che hanno ricevuto e trasmettono con la generazione sessuale i caratteri di una varietà primitiva” e quindi quando da una razza si ottiene una varietà che si identifica con la modifica, l’aggiunta o la perdita di caratteri, il tipo o varietà ottenuto deve nell’ereditarietà mantenersi e dar vita a una nuova razza.
Razze Primarie, Secondarie e Terziarie.
CORNEVIN :
“La Razza è una collettività dotata di uno o più caratteri propri e ereditari”
NATHUSIUS:
“Razze Naturali e Razze Coltivate”.
SETTEGAST :
“Razze Primitive, Razze di Transizione e Razze Prodotte”.
BARON :
Razze prime R’ – Razze seconde R”
FOGLIATA:
Con il termine Razza s’intende ogni insieme di animali che si distingue per una qualche caratteristica ereditaria o per un insieme di caratteristiche ereditarie senza limitazione geografica.
CHIARI :
E’ Razza ogni collezione numerosa e diffusa di cavalli dotata di uno o più caratteri propri fissi ed ereditari.
PACI:
Il concetto di razza è dunque fondamentalmente biologico e riposa sul fenomeno della trasmissibilità dei caratteri che la contraddistinguono.
Per “tipo” si intende invece lo schema architettonico secondo cui si raggruppano individui della stessa razza o di razze e specie diverse per effetto della convergenza dei caratteri morfologici funzionali ed eventualmente patologici. Il “tipo” non è dunque un gruppo biologico, ma la forma esteriore su cui si modellano individui di diversa origine, caratterizzati dalle stesse attitudini funzionali”
In Francia, con il vocabolo “Haras” si identificano delle razze private. Con il termine Haras spesso in modo improprio, vengono chiamati sia i Depositi Stalloni che di rimonta ,dove non viene effettuata alcuna riproduzione. In Inghilterra, con il vocabolo “Stud” viene identificato un gruppo di cavalli maschi e femmine che si riproducono.
In Italia con i termini “Razza Privata” o “Razzetta” si vuole identificare un gruppo di animali che ha in comune una qualche caratteristica perfettamente trasmissibile fra i simili, ma ristretta ad una limitata località.
La “Mandra di Produzione” consiste in una raccolta di animali che si riproducono, non somiglianti, non in possesso di caratteristiche comuni .
Il Wecherlin chiama Varietà alcuni individui che offrono delle anomalie salienti e che conservano trasmettendole ai loro discendenti, restando nello stesso ambiente.
Il Cornevin definisce Varietà: “Una collezione di individui della stessa origine che si distinguono dai loro congeneri per uno o più caratteri comuni che essi non trasmettono ai loro discendenti.
Il Fogliata ritiene che la Varietà si pone fra Razzetta e Mandra e quindi la definisce: un certo numero di cavalli dei due sessi, riuniti in luogo oppure sparsi, i quali sono forniti di alcune particolarità che in esse si riproducono. La Varietà pertanto, può anche essere identificata con il termine “Meticcio” in quanto si vuole riferire a prodotti di primo incrocio i quali di solito non vengono destinati alla riproduzione, mentre i cavalli “Bimeticci” provengono dall’unione dei genitori Meticci fra i quali è stata operata una selezione per una o più generazioni..
TIPO :
La Tipologia è quel ramo della scienza zootecnica che si occupa della Selezione Morfologica e Funzionale. (Fogliata)
Secondo il Prof. Fogliata, l’allevatore come primo atto determina una selezione morfologica e ottenutala compie il secondo passo con la selezione funzionale allo scopo di produrre soggetti con forme più perfette e migliore funzionalità.
Il vocabolo Tipo venne usato dagli zoologi per indicare la “Forma Primitiva” o “Tipo Primitivo”, a tale vocabolo il Prof. Fogliata dà un significato diverso indicando la “Costruzione Architettonica del Cavallo”(costituzione morfologica)
a) Dolicomorfo : lungo e stretto, tipo ad estensione di contrazione
b) Brachimorfo : largo e corto, tipo ad intensità di contrazione
c) Mesomorfo : medio, normale, tipo a rapida e forte contrazione
L’addomesticamento, l’ambiente e l’intervento selettivo dell’uomo possono quindi provocare od accentuare variazioni nel patrimonio genetico e variazioni somatiche e produttive tali da differenziare sensibilmente un gruppo di individui della stessa specie, il quale così acquista caratteri propri, se pur nell’ambito della specie, trasmissibili. Si ha così il sorgere della “razza” (da radice, nel senso di ascendenza), introdotta in zoologia dal Buffon ma che risale al 1600 e che il Lamark adoperò per descrivere le variazioni di specie.
Per altri il termine razza sarebbe da ricondurre allo spagnolo “raza” che a sua volta deriverebbe dall’arabo ”raz” nel suo significato di “principio”.
Sembra che i romani usassero il termine di “semen”.
Buffon ricollegandosi ad idee ippocratiche, riteneva la razza una varietà formatasi e fissatasi per influenza del clima, dell’alimentazione e del modo di vita.
Darwin a tal proposito riteneva che le razze fossero il risultato della selezione artificiale praticata dall’uomo sulle variazioni utili delle specie primitive.
Il tutto sempre secondo Darwin veniva facilitato dalla ginnastica funzionale di certi organi e dalle condizioni particolari di vita, nonchè da opportuni metodi di riproduzione arrivando così alla fissazione dei caratteri vantaggiosi.
“ La razza è il tipo ereditario” fu anche detto dal Topinard nel 1606, e forse è ancora una delle migliori definizioni esistenti.
Il Sanson affermava: “ La sola definizione veramente esatta ed insieme la più breve consiste nel dire che la razza è la discendenza di una coppia primitiva”.
Secondo P. Dechambre ripreso dal Mascheroni nel suo testo di “Zootecnia Generale”1932 la razza e data da: “un certo numero di individui della stessa specie che vivono nelle stesse condizioni, che hanno la stessa apparenza esteriore, le stesse qualità produttrici, i cui caratteri si ritrovano nei loro ascendenti e si ripetono con fedeltà nei discendenti”. '
Quindi la razza si può definire: ”un insieme di animali che si distinguono dagli altri della stessa specie per taluni caratteri comuni ed ereditari”.
In precedenza si è fatto cenno che gli individui appartenenti alla stessa specie sono fra loro fecondi, di censeguenza tutti gli individui anche di razze diverse e cioè la catena di razze della stessa specie sono sempre interfeconde. Solo potranno insorgere difficoltà qualora vi sia notevole differenza sopratutto di mole ad es. fra un cane di forte sviluppo ed uno di taglia minuta. Queste difficoltà si possono superare con la fecondazione artificiale a parte altri eventuali inconvenienti di gestazione e di parto per ragioni intuitive.
Qualunque siano questi particolari caratteri, corrispondenti sempre a coppie o gruppi di geni, occorre elencare razza per razza gli stessi, fare cioè la descrizione delle caratteristiche tipiche, detta convenzionalmente “standard di razza”.
Ed è attraverso allo standard che gli individui di una razza possono essere cofrontati fra loro e con quelli di un’altra razza.
Suonano a tal proposito come un avvertimento le parole di Dobzhansky che nel suo “genetics and the origin of species” 1949 afferma: “Ciò che per l’allevatore ha maggior importanza non è lo stato in atto di una razza ma il suo divenire”
Cosa che si concreta nei miglioramenti produttivi (la produzione viene vista in questo caso come scopo ultimo della zootecnia), in dipendenza di certi geni che differenziano un gruppo dalla restante popolaziene, gruppo che accentuerà le sue caratteristiche (anche per mutazioni, combinazioni e interazioni genetiche) se subirà un processo di selezione e di isolamento fino ad arrivare alla omozigosi con fissazione dei caratteri stessi.
Le differenze sono dovute a variazioni nelle frequenze di geni più che alla mancanza di geni, nonché dalle varie associazioni degli stessi.
In pratica si considerano pochi caratteri di razza, soprattutto caratteri fenotipici, i quali così caratterizzano, per modo di dire, un determinato aspetto esteriore e determinate produzioni proprie del gruppo.
Tuttavia questi caratteri non hanno mai la stessa intensità in tutti gli individui, ma offrono una certa variabilità ammessa dagli stessi allevatorii perchè sovente si tratta di caratteri sia di natura quantitativa sia influenzabili dall’ambiente.
Il fattore essenziale della conservaziono di una, razza, é il suo isolamonto sia esso dovuto ad area geografica, ben separata. (fiumi, monti, mare, ecc.) o che venga tenuta isolata dall’uomo dirigendone gli accoppiamenti.
Oggi é anche usata la parola ceppo applicata a soggetti chè differiscono per uno o più caratteri ereditari ben dofiniti: in zootecnia tale parola aveva ed ha significato di gruppo primitivo dal quale sono derivate razze viventi.
Ceppo (significato 1)
Per la zootecnica del passato, “ceppo” significava “gruppo primitivo dal quale derivano le razze”.
Si potevano, e si possono tuttora individuare gruppi di razze che, in ragione di una comune origine etnica, si presentano distinguibili ma accomunate da alcuni caratteri morfologici, e differenziabili da quelle di un altro ceppo sulla base della diversità di analoghi caratteri morfologici.
Termini tuttora in uso sono: ceppo podolico, alpino, iberico, celtico, giurassico, mediterraneo. Tutti assumono un preciso significato distintivo a seconda della specie zootecnica di riferimento (ad esempio: capra di ceppo Alpino, capra di ceppo Mediterraneo, bovino di ceppo Alpino, bovino di ceppo Podolico).
Ceppo (significato 2)
In seno ad una razza, si possono rilevare gruppi di animali che hanno uno o più caratteri secondari comuni trasmissibili alla prole, influenzati (o "indotti") dall'ambiente (clima, alimentazione, metodi di detenzione, etc.) ed evidenziati a seguito di azioni selettive. Sono i cosiddetti ceppi.
Questo termine è entrato in uso nell’ambito di specie zootecniche utilizzate per la produzione di meticci (ibridi commerciali).
Nell’ambito di una razza un gruppo di individui viene sottoposto a particolari parametri selettivi che ne esaltano e fissano peculiarità produttive (mole, produzione di uova, peso dell’uovo, etc.)
Dopo alcuni anni di isolamento, il ceppo assume caratteri specifici di popolazione che vengono sfruttati nell’ambito di incroci intrarazza (due ceppi diversi della stessa razza si uniscono per ottenere eterosi) o fuori razza, nell’ambito di incroci programmati fra razze diverse.
La differenza tra sottorazza e ceppo è spesso sfumata e l’uso che se ne fa dipende molto dagli ambiti di azione.
In generale si può dire che un ceppo può non presentare variazioni morfologiche apprezzabili rispetto alla razza madre, pur differenziandosene per aspetti produttivi non rilevabili a vista.
Questa terminologia è in uso esclusivo in zootecnia e dovrebbe essere mutuato più giustamente in linea (linee pure parentali) poiché più aderente all’uso che se ne fa in genetica e meno suscettibile di confusione con il primo significato del termine.
Il comune concetto di razza, ha dato anche luogo a qualche incertezza. Basta ponsare alla difficoltà di stabilire dove finisca la razza, con altra razza confinante ed alle volte poco dissimile e dove incomincia la, sottorazza o varietà!
Nathusius del resto afferma che ”la razza non ha alcuna importanza a confronto dell’individuo”.
H. Settegast nel testo “Allevamento del bestiame” 1876 ancor più esplicitamente afferma che ciò che determina il valore decisivo di un animale non è affatto la sua appartenenza o meno ad una razza, ma bensì le sue qualità individuali.
Questo concetto viene in parte estremizzato da Von Gruber che afferma che ogni genotipo costituisce una razza.
E’ interessante notare che questo concetto si trova spesso espresso dagli stessi allevatori quando affermano:” questo soggetto è della razza del tal toro e della tal vacca” evidenziando così il maggior peso dell’individuo rispetto alla razza di appartenenza.
Taussig nel 1939 afferma che si possa parlare di “razze economiche” tenendo presente esclusivamente le loro attitudini e gli scopi che si perseguono. La nozione di razza secondo questo studioso collimerebbe in pratica con lo scopo dell’allevamento.
Un chiarimento ulteriore al concetto di razza viene dagli studi di Johansen e di Nilsson, essendosi riscontrato come le razze non sono altro che un insieme di individui più o meno diversi e di valore zootecnico diverso.
Viene a questo punto introdotto il termine di “popolazione” al posto di “razza” per designare appunto un gruppo di soggetti (in genetica detti biotipi o linee) più o meno dissimili fra loro tanto da presentare sempre una certa variabilità morfologica e fisiologica
(la popolazione, come la razza ed ogni gruppo subspecifico, è composta di individui più o meno diversi e mortali, ma continua nello spazio e per un tempo anche lunghissimo).
Dalle affermazioni sovra esposte è facile intuire che razze pure in senso genetico totale non esistono nelle specie domestiche ma nel linguaggio corrente si ritengono tali quelle dotate di un certo numero di caratteri che si trasmettono con una certa fedeltà.
Se essi sono dovuti a geni principali o mendelliani, la fissità sarà maggiore, mentre quando si tratta di caratteri poligenici o quantitativi (es.dimensioni somatiche, produzioni, ecc. ) spesso si manifesterà un certo grado di variabilità.
La razza si può formare per disgiunzione provocata con opportune operazioni partendo da una mutazione.
Esempi di questo possono essere la razza Setter irlandese, la faraona Azzurra Ghigi o le molte varianti di colore dei visoni da pelliccia.
Generalmente però è più facile osservare la nascita di nuove razze per incrocio inquanto l’uomo da tempo ha cercato di riunire in un unico individuo caratteri poligenici e non, sparsi in razze diverse o in razze eterozigote arrivando così per selezione progressiva a controllare una progenie che nelle sue aspettative arrivi all’omozigosi in poche generazioni.
Molte razze, oggi specializzate in una determinata produzione, provengono da popolazioni primitive a più attitudini ma tutte mediocri.
Naturalmente la manifestazione esteriore dei caratteri genetici è influenzata anche dall’ambiente (clima e terreno) nonchè dalle condizioni di vita che l’uomo riserva agli animali (stabulazione, tecnica di allevamento) tanto da portare all’affermazione spesso riportata che “la razza è il risultato del patrimonio genetico più l’ambiente”.
Le influenze dell’ambiente commisurano quindi il manifestarsi del genotipo.
Fra le più importanti manifestazioni ambientali spicca l’alimentazione che diventa parte integrante del così detto “triangolo della vita di Walter”. Un triangolo equilatero ove i tre lati rappresentano singolarmente l’eredità, l’ambiente e l’alimentazione.
Risulta evidente che modificando un lato aumenta o diminuisce la superficie del triangolo stesso, superfice con cui per convenzione si rappresentano le produzioni dell’animale zootecnico.
Parlando di luoghi, la zona dove la razza si è formata viene detta “culla della razza” mentre “l’area geografica” o di espansione rappresenta tutto il territorio che occupa e popola.
A tale proposito esistono termini molto usati che meritano di essere analizzati:
Razza autoctona
Questo termine viene mutuato in parte dalla biologia ma ha significato profondamente diverso.
Razza autoctona in zootecnia non implica per forza che i progenitori della razza siano propri del luogo in cui la razza si è formata e plasmata durante il processo selettivo.
E’ chiaro, ad esempio, che bovino Maremmano e Podolica sono si razze autoctone italiane, ma formate sulla base di progenitori esteri provenienti con ogni probabilità dall’Est Europa fino alla Russia in tempi remoti.
Razza naturalizzata
Si tratta di una razza di chiara origine estera entrata a pieno titolo nel tessuto allevatoriale nazionale, interconnessa con il settore produttivo di appartenenza e da lungo tempo diffusa in modo continuativo e consistente su un territorio diverso da quello di origine.
Fanno parte di questo gruppo molte razze cosmopolite (Frisona, Large White).
Razza introdotta
Razza non appartenente al territorio, introdotta in un ambiente per i più disparati motivi (sperimentazione, tentativo di naturalizzazione, scopi ornamentali, didattici, conservazionistici, etc.)
La razza introdotta può avere una presenza temporalmente discontinua sul territorio per numerosità e per areale. Una razza introdotta per alcuni anni, abbandonata e quindi reintrodotta a distanza di anni appartiene a questa casistica. Non avendo legami consolidati col tessuto allevatoriale, spesso la sua presenza è discontinua.
Un individuo si dice di “razza comune” o meglio “senza razza” quando non si può assegnare a nessuna razza più o meno selezionata.
In genere sono individui meticci o derivati, talvolta disarmonici,” mal vissuti” e senza attitudini particolari.
I soggatti di una razza selezionata appartengono ad un tipo determinato.
Per tipo si intende appunto l’architettura dell’animale con particolare riferimento alle proporzioni fra i diversi diametri dell’organismo (altezza, larghezza, lunghezza) i quali fanno supporre anche determinate attitudini produttive.
Tipo morfologico
Il termine "tipo" rappresenta le caratteristiche peculiari della "costituzione" di un animale; caratteristiche che stanno a denotare la particolare funzionalità produttiva dell'individuo.
La definizione del "tipo" è data dalla osservazione dei caratteri morfologici e fisiologici, evidenziati, ad esempio, dai rapporti fra lo sviluppo dei diametri longitudinali e di quelli trasversali, nonché dalla rilevazione delle masse muscolari, dalla finezza o meno dello scheletro e della pelle, dalla voluminosità del ventre, o dall'apprezzamento delle presumibili possibilità funzionali del soggetto in esame, cioè della sua probabile produttività.
Si hanno così avicoli "tipo" da carne , "tipo" da uova e a duplice attitudine, nonché un certo numero di "tipi" che, venuto meno il loro impiego, rientrano nel gruppo delle razze ornamentali (razze da combattimento, razze nane). Polli omeosomi o eterosomi in ragione della loro vicinanza o distanza rispetto al pollo selvatico progenitore (Ghigi)
Fra le razze bovine: “tipo respiratorio” “tipo digestivo”, suini “carnosi” e “adiposi”
Mentre una razza si ricollega o dovrebbe ricollegarsi ad un tipo solo, un tipo può riferirsi a più razze. Una volta si parlava di tipi dolicomorfi o longilinei, brachimorfio o brevilinei, mesomorfio mesolinei; oggi però si parla più frequentemente di tipi costituzionali.
La distinzione che fanno certi autori dellle razze, in naturali ed artificiali di transizione, di coltura, ecc.non ha ragione d’essere perché tali parole non precisano nulla ne dal lato scientifico ne dal lato pratico.
Sinteticamente lo studio di una razza riguarda:
1L’origine: e cioè se è autocotona della zona che ora popola o se e stata importata in tempi relativamente recenti. Generalmente quelle autcotone sono il frutto più che altro dell’opera della natura e perciò sono ottimamente ambientate, quasi sempre rustiche e frugali ma anche poco produttive, le naturalizzate invece hanno subito un lavoro selettivo e pertanto, se pur più esigenti sono più produttive. Non è detto tuttavia che razze autoctone non abbiano subito un forte miglioramento selettivo, specie in zone assoggettate negli ultimi decenni a notevoli trasformazioni agrarie e dove sono sorte particolari industrie.
2 Storia della razza. E’ assai istruttiva perché ci dice se si è formata da ceppo originario autoctono per selezione, se venne importata e perché, se ha subito incroci, ci narra le tappe attraverso le quali è giunta all’attuale stato, se in essa sono comparsi riproduttori d’eccezione, le affermazioni o meno in mostre e competizioni, l’incremento produttivo, le famiglie e linee di particolare pregio qualora esista un suo libro genealogico, la espansione in zone nuove o la diffusione di altre razze nella sua area. Per giudicare poi una razza nelle sue caratteristiche e nelle sue possibilità di miglioramento va esaminata: riguardo all’ambiente naturale che popola: area geografica, rilievi, clima, vegetazione;
riguardo all’ambiente agricolo: tipi di aziende, attrezzatura, tecnica di allevamento, mercati;
riguardo alle attuali caratteristiche della razza: esteriore conformazione,consistenza numerica, produzione medie( se trattasi di razze lattifere: produzione di latte % di grasso, % proteine, lunghezza della lattazione), allevamenti di punta, zone di sfruttamento, zone od allevamenti da riproduzione, scambio di riproduttori, età del primo e dell’ultimo parto, numero dei nati e di quelli svezzati, gemellarità, intervallo fra i parti, distribuzione delle nascite nel corso dell’anno, entità della rimonta, intervallo fra le generazioni, peso alla nascita, velocità di accrescimento, peso a diverse età, resa al macello, qualità delle carni, tagli, quantità consumabile, caratteri della lana ecc;
riguardo all’eraditabilità dei caratteri: latte, grasso, peso vivo, lana, uova, nonché a talune correlazioni quali fra la conformazione e la produzione del latte.
Naturalmente per fare la descrizione delle caratteristiche etniche ci si riferisce sempre al tipo che meglio rappresenta la razza stessa.
Quindi oggetto di tale descrizione sono i caratteri morfologici (mantello, peso, statura, pregi e difetti delle singole parti e regioni,ecc.), fisiologici (costituzione, temperamento, precocità, prolificità, attitudini, adattamento, utilizzazione alimentare, ecc.) e patologici (caratteri anormali, letali, vizzi, predisposizione e resistenza a malattie, ecc.) completati con una serie di dati che precisano in cifre taluni caratteri di particolare importanza, quali il peso vivo a determinate età, le principali misurazioni somatiche, le proporzioni, le produzioni, ecc. cifre raccolte su un buon numero di buoni soggetti ed elaborate biometricamente.
E’ attraverso lo studio biometrico delle razze che si può conoscere l’omogeneità e la sua ricchezza o meno di biotipi di valore zootecnico dai quali partire per il lavoro selettivo.
Ogni razza possiede pochi geni che si trovano in tutti gli individui che la compongono e sono quelli che la distinguono dalle altre e per contro contiene molti geni diversi a seconda degli individui stessi. Ecco perché una razza può essere anche definita una popolazione di genotipi o meglio una popolazione di geni la cui trasmissione e distribuzione negli zigoti avviene secondo le note leggi di Mendel e la concezione poligenica o pleiotropica o della interazione. Così che da una parte abbiamo per disgiunzione il formarsi di numerose combinazioni geniche fra cui in modo preponderante eterozigoti, dall’altra che queste combinazioni sono in balia della casualità. Ecco perché in natura non vi sono due individui uguali ed il lavoro di selezione delle razze non è facile.
Con tutto questo, se dal genotipo si passa a considerare il fenotipo si vede che presenta delle variazioni (non sempre il fenotipo corrisponde al genotipo e poi interviene l’azione delle cause esterne), variazioni comunque facilmente raggruppabili in serie continua di forme od espressioni e pertanto calcolabili dal lato statistico.
Portandosi ad analizzare il concetto di razza zootecnica nell’evoluzione più moderna del termine non mancano ulteriori contributi.
Secondo Matassino “sulla definizione di ‘razza’, come di ‘specie’, non vi è alcun accordo, né vi sono indagini fenotipiche e genetiche scientificamente attendibili atte a: 1) discriminare una ‘razza’ da un’altra rispetto a caratteri che non siano quelli somatici appariscenti, come il mantello (il piumaggio negli uccelli), la pigmentazione, la forma delle corna, ecc.; 2) individuare criteri e limiti classificatori per stabilire obiettivamente le differenze quanto meno fenotipiche fra razze conspecifiche contigue. Attualmente i limiti sono poco chiari e si suole parlare di ‘razza’ per: a) una semplice differenza monogenica (la razza “mendeliana”); b) forme diverse rispetto a qualche carattere somatico appariscente (molte razze cosiddette “sportive” in specie diverse); c) popolazioni ottenute tra specie diverse (bovini taurini e gibbosi, fra bovini e banteng, e altre)”.
Lo stesso Autore riporta che “entro le razze ‘domestiche’ si possono distinguere:
a) le razze “ecologiche” o “ecotipi”
b) le razze “geografiche”
c) le razze di “cultura”
Tale distinzione si basa sulla concezione di “razza” di Dobzhansky secondo il quale la razza può essere considerata quale stadio di un processo evolutivo.
L’autore si addentra ulteriormente in un parallelismo tra specie e razze quando afferma:
“La razza “ecologica” o “ecotipo” comprende tutti i gruppi domestici entro una specie, aventi caratteri comuni e con “capacità al costruttivismo’” (“adattate”) (Matassino D., 1989b, 1992; Lewontin R.C., 1993, 2004) entro un determinato habitat; si tratta di popolazioni con “capacità al costruttivismo” in particolari condizioni fisiche di allevamento da secoli e in molti casi da millenni. La razza “ecologica” è il frutto dell’isolamento entro una specie dovuto a una possibile barriera rappresentata da una condizione ecologica (pianura, costa, foresta, ecc.). All’inizio del secolo l’Italia era popolata pressoché esclusivamente da razze ecologiche; per ciascuna specie, esistevano una o più razze “ecologiche” distribuite in vari “bioterritori”. Oggi molte di esse sono scomparse, mentre altre sopravvivono, ma in forte contrazione, perché sostituite da tipi genetici più produttivi ma con altri problemi legati soprattutto a una minore “capacità al costruttivismo”.
Si deve sempre a Matassino, la nascita di termini composti che nelle intenzioni dell’autore potrebbero sostituire il termine di razza.
Una razza ecologica o ecotipo potrebbe identificarsi con un tipo genetico autoctono (TGA) (Matassino D., 1979, 1996) o con un tipo genetico autoctono antico (TGAA) (Matassino D., 2001); il primo potrebbe includere i tipi genetici presenti in un determinato bioterritorio da almeno 50 anni, mentre per il secondo la suddetta presenza dovrebbe risalire a periodi superiori ai 50 anni, se non secoli (Matassino, 2005; Legge Regionale sulla biodiversità n. 15/2000- Regione Lazio).
La razza “geografica” si distingue da quella ‘ecologica’ per la natura della barriera che ne determina la formazione; infatti, in tal caso la barriera è ‘geografica’: mare, fiume, montagna, ecc..
La razza “di cultura” è quella che l’uomo ha cercato e cerca di plasmare secondo suoi modelli non tanto in relazione al microambiente naturale di allevamento proprio di un determinato ‘bioterritorio’ pedoclimaticamente peculiare, bensí prevalentemente alla propria ‘cultura’; cultura che, pur nella sua variabilità, tende alla standardizzazione delle condizioni fisiche, nel senso di ottimizzarle ai fini del rendimento ‘biologico-produttivo’, provocando spesso un allontanamento dell’animale allevato dalle condizioni ‘naturali’ sia fisiche sia biotiche.
Nella generalità dei casi l’orientamento odierno resta quello di determinare una sostanziale contrazione dei termini zootecnici che gravitano intorno al concetto di razza.
Rimane pertanto valida e condivisa la denominazione di "razza" con cui si contraddistingue un "complesso di individui appartenenti ad una stessa specie animale, i quali hanno la stessa formula ereditaria e si distinguono da altri raggruppamenti della stessa specie per alcuni particolari caratteri morfologici e funzionali trasmissibili alla prole" (Borgioli, 1978).
Le caratteristiche morfologiche e funzionali di una razza, però, non sono immutabili ma sono soggette a variazioni sotto l'azione selettiva dell'uomo ed a causa delle condizioni ambientali di allevamento. La razza, perciò, non è un'entità statica, bensì in continua evoluzione. Difatti, a seguito della selezione (naturale e/o favorita dall'uomo), della comparsa di mutazioni, delle interazioni ambientali, si sviluppa quella differenziazione genetica per la quale si ha la progressiva variazione delle caratteristiche originarie della popolazione cui la stessa razza appartiene.
Le razze degli animali domestici, difatti, benché geneticamente pure per un certo numero di caratteri, sono in realtà delle popolazioni più o meno numerose che presentano al loro interno un rilevante grado di variabilità genetica e quindi una serie di genotipi diversi, benché affini dal punto di vista della manifestazione dei caratteri.
In generale, perciò, a medesimi fenotipi possono corrispondere, e corrispondono, genotipi diversi; e viceversa.
Questo "rappresenta il maggior ostacolo al lavoro di miglioramento genetico delle razze, data la difficoltà della identificazione e dell'isolamento di quegli individui che, pregevoli per i loro caratteri, sono anche geneticamente puri, e perciò in grado di trasmettere ai discendenti queste caratteristiche desiderate dagli Allevatori" (Borgioli, 1978).
"In senso assoluto, non può esistere alcuna razza che sia superiore a tutte le altre, perché essa darà la piena dimostrazione delle sue grandi capacità produttive solo in condizioni ottimali d'ambiente e soprattutto di alimentazione; mentre in ambienti poco favorevoli, la scarsità di alimenti, la deficienza di cure di allevamento, la diffusione di malattie infettive o parassitarie, la renderanno economicamente meno produttiva ed utile delle razze locali."
Un concetto moderno di razza si è poi associato ad uno "standard di razza codificato", cioè ad un modello di riferimento dove sono fissati i caratteri morfologici, nonché le attitudini produttive specifiche della razza.
Questo concetto di razza è di un certo formalismo, non sempre rispondente alla realtà genetica.
Le diverse razze possono essere classificate in:
- Primitive . Sono popolazioni derivanti dalle specie selvatiche per selezione ambientale e massale, .costituite da animali rimasti ai primi livelli post domesticazione, caratterizzati quindi da una grande variabilità morfologica. Parlando di queste razze, il riferimento va in particolare ad aree africane, asiatiche e del Sud America. Moltissime razze bovine caprine ed ovine presentano in queste aree fortissima variabilità morfologica, pur essendo possibile trovare caratteri comuni, e tali da distinguerli da altre popolazioni similari. Nei i Paesi europei esistono tuttora razze assimilabili alle primitive; basti pensare alla capra Alpina comune, al suino Sardo, al bovino Corso, etc.
Questa definizione collima anche con gli studi di Johansen e di Nilsson che introducono il concetto di “popolazione” ad indicare razze dotate di variabilità spiccata.
- Secondarie o standardizzate. Derivano dalle precedenti per selezione di alcuni tipi o caratteri, e sono state ottenute in epoca più recente. La loro variabilità è quindi più ridotta a causa dell'isolamento riproduttivo a cui sono state sottoposte. Rientrano in questa categoria le razze universalmente riconosciute per uniformità fenotipica; sono molte le razze suine, bovine ed avicole che vantano una lunga selezione e standard rispettati minuziosamente per alcune centinaia di anni.
- Sintetiche. Sono derivate dalla combinazione di razze secondarie o di razze primitive e secondarie; hanno grandissime potenzialità produttive, ma ridotta variabilità. La razza sintetica sorge spesso nel tentativo di unire caratteri positivi appartenenti a due razze distinte. Quando si fonda sull’unione di razze già sottoposte a processo selettivo (razza secondaria X razza secondaria) il successivo processo di fissazione viene avvantaggiato da una più limitata variabilità fenotipica.
- Mendeliane. Sono le razze selezionate a partire da un solo gene. Si tratta di razze che si fondano sulla comparsa di mutanti spontanei, come ad esempio i bovini con iperplasia muscolare, i conigli albini, etc.
L'appartenenza degli animali allevati ad una determinata "razza" presuppone la possibilità di avere da ogni singolo soggetto le produzioni e le prestazioni proprie della stessa razza. In effetti, però, tra ogni diverso individuo possono esservi diversi "rendimenti" dovuti alla più o meno spiccata omogeneità della popolazione di cui è costituita la razza stessa; o al grado in cui sono "fissati" i caratteri razziali (e quindi trasmessi in maggiore o minore quantità ai singoli discendenti); o ancora alla diversa individualità dei singoli soggetti ed alla singola "reazione" del loro patrimonio ereditario alle condizioni ambientali.
In particolare poi, per quanto riguarda la possibilità di ogni animale di trasmettere i caratteri di razza ai propri discendenti, l'individualità ha un ruolo di primaria importanza. Il complesso dei caratteri di cui è "potenzialmente" dotato un individuo, in quanto ne sono portatori i geni che sono localizzati nei propri cromosomi, costituiscono il suo genotipo.
Questi caratteri genetici, però, non sono, in effetti, ereditabili come tali dai discendenti; ma possono stabilire la norma di reazione entro i limiti della quale - a seconda delle condizioni ambientali in cui l'individuo nasce, vive, si accresce e produce - estrinsecarsi.
Per questo, quello che noi, di un animale, vediamo e constatiamo attraverso i nostri sensi ed i nostri mezzi di indagine, è il fenotipo, cioè, il complesso di caratteri che sono l'espressione delle proprietà innate e profonde dell'organismo trasmesse dai genitori (patrimonio ereditario o genetico) esteriorizzatosi in dipendenza dell'ambiente nel quale l'animale stesso è allevato.
Difatti, ciò che il genotipo determina sono le risposte, le reazioni, dell'organismo verso l'ambiente; e poiché la varietà degli ambienti che esistono sulla terra è grandissima, ne consegue che uno stesso "genotipo" sottoposto a condizioni ambientali diverse, può estrinsecarsi con diversi "fenotipi".
La lunga disamina dei termini riferibili a razza porta ad un tentativo di sintesi ben rappresentato dalla definizione ufficiale di razza della FAO.
“Sia un gruppo sottospecifico di animali domestici con caratteristiche esterne definibili e identificabili, e che consentono di distinguerlo visivamente da altri gruppi definiti nello stesso modo e appartenenti alla stessa specie, sia un gruppo per il quale la separazione geografica e/o culturale da gruppi fenotipicamente simili ha portato ad accettare la sua identità separata” “Either a subspecific group of domestic livestock with definable and identifiable external characteristics that enable it to be separated by visual appraisal from other similarly defined groups within the same species or a group for which geographical and/or cultural separation from phenotypically similar groups has led to acceptance of its separate identity” (FAO, 1999)
Tale definizione permette di unire sotto un unico ambito descrittivo sia le razze evolute e sottoposte a controlli genetici accurati che quelle sostanzialmente frutto di evoluzione libera da vincoli strutturali.
Categorie inferiori alla razza
Sottorazza o Varietà
Si individuano con questo termine animali di una stessa razza che variano per uno o pochi caratteri morfologici definiti “secondari” che da soli non sono in grado di determinare una modifica tale da richiedere l’attribuzione a razza distinta.
Spesso in ambito avicunicolo si designano come varietà le diverse livree o mantelli mantenuti in isolamento riproduttivo all’interno della medesima razza (ad esempio: coniglio Blu di Vienna, Bianco di Vienna, Livorno collo oro, Livorno fulva)
I caratteri che mutano e creano la varietà possono essere anche riferibili a parti anatomiche (pollo Combattente Inglese senza coda, pollo Ancona a cresta semplice o cresta a rosa).
Nelle specie zootecniche maggiori è più in uso il termine di sottorazza rispetto al termine varietà usato specialmente nelle piccole specie.
(E’ d’obbligo ricordare che il termine varietà nell’uso zootecnico più tradizionale era l’insieme di seggetti della stessa razza differenziatisi per taluni caratteri dovuti alle condizioni ambiehtali e quindi non ereditari.
La non trasmissibilità di questi caratteri dipende dal fatto che, secondo taluni, si ritengono acquisiti e come tali si manifestano solamente per il tempo (o poco oltre) in cui i soggetti vivono in quel determinato ambiente.
La diatriba sul concetto di varietà zootecnica ebbe numerosi distinguo.
Linneo l’usava nella suddivisione della specie poichè riteneva che i termini naturali fossero: genus, species, varietas.
Il Sanson adoperava la parola varietà come una suddivisione di razza, la quale varietà,:”non esiste senza una certa costanza dei suoi caratteri”.
Dechambre propose in più occasioni la soppressione di questo termine in zootecnica ritenendo più opportuno il solo “sottorazza”.
Zwaenepoel e molti altri ricercatori finiranno in seguito per usare come sinonimi i termini sottorazza e varietà uniformandone il significato.)
Altra importante definizione che chiarisce molti aspetti controversi è la :
VARIABILE MORFOLOGICA INTRA RAZZA
Corrisponde ad un carattere morfologico variabile che esiste e si mantiene in una determinata razza senza isolamento riproduttivo dei soggetti che ne sono portatori.
Esempio :
Nei bovini il Bianco Blu Belga con le varianti monocolore bianco, pezzato blu e pezzato nero che coesistono, si accoppiano fra loro generando per disgiunzione i tre colori sopra menzionati.
Bovino Gronninga (nera e rossa faccia bianca)
Razza caprina Vallesana bianco nera e bianco bruna.
Colorazioni del colombo Triganino Modenese.
Cavallo Arabo morello x cavallo Arabo sauro = cavallo arabo
Cavallo PSI grigio x Cavallo PSI baio= Puro Sangue inglese
Pertanto secondo le modalità riproduttive con cui questo particolare carattere si mantiene nella popolazione, si è più o meno giustificati ad usare il termine meticcio.
Meticcio
Soggetto derivante dall’incrocio di razze,sottorazze o ceppi/linee diverse.
Il piano di ibridazione può essere più o meno complesso e proseguire per più generazioni o interrompersi in F1 per sfruttare i vantaggi dell’eterosi (ibrido commerciale).
Es.
Coniglio bianco di Vienna X coniglio blu di Vienna è un meticcio
Coniglio rosso di Nuova Zelanda X Bianco di Nuova Zelanda meticcio
In questo caso le sottorazze vivono da sempre sulla base di isolamento riproduttivo pertanto quando viene meno si parla di meticcio (incrocio)
Al contrario ad esempio, una Frisona pezzata nera X Frisona pezzata rossa genera una Frisona di razza pura non essendo in questa razza prevista una divisione fra le due varianti.
Altri termini utili ma di uso assai limitato
Razzetta
Si designava con questo termine, oggi in disuso, una razza che fosse strettamente limitata ad un territorio geografico preciso e limitato (ad esempio: razzetta d’Oropa o Pezzata Rossa d’Oropa)
Razza Governativa
Termine in uso nel settore equino ed ora superato. Si designavano con questo termine razze sorte su impulso di istituzioni e la cui riproduzione e distribuzione avveniva sotto lo stretto controllo di queste, che garantivano il rispetto di alcuni parametri selettivi chiari e codificati.
Razza privata
Termine in uso nel settore equino oggi del tutto superato. In passato esistevano aziende private con grandi scuderie e tenute dove il proprietario, mediante scelte mirate sui riproduttori, imponeva standard selettivi propri determinando nel tempo differenziazioni abbastanza spiccate.
Alcune di queste razze portavano il nome del casato o della famiglia, pertanto possono alle volte essere riferite con l’aggettivo “di famiglia”.
Termini di uso recente che si collocano nell’importante settore della tutela del germoplasma e delle risorse genetiche zootecniche.
Biodiversità zootecnica
E’ l’insieme delle specie e razze animali di interesse zootecnico che si sono andate differenziando sulla base di spinte selettive dettate dal mondo allevatoriale.
In questo senso, oltre alla selezione naturale (parzialmente presente) si aggiungono importanti spinte di tipo estetico, produttivo, gestionale, ambientale del tutto artificiali o comunque controllate dall’allevatore, che plasmano il fenotipo del progenitore selvatico verso forme del tutto diverse.
La biodiversità zootecnica risponde molto spesso ad esigenze adattative ad ambienti diversi proponendo un interazione “animale produttivo - ambiente di allevamento”.
La creazione di razze cosmopolite risponde contrariamente a tutto ciò, con un adattamento ambientale alle esigenze dell’animale produttivo favorendo standard gestionali e di alimentazione uniformati, rispondenti alle esigenze dell’animale selezionato.
TESTO Dr. ALESSIO ZANON
09/05/2013, 15:43
alessiozanon ha scritto:No Pedru non è cosi ! Ti propongo un testo e ti evidenzio dove sbagli:
Il modello classificatorio biologico come ispirazione
Nelle scienze biologiche la classificazione è un concetto che si riferisce alle modalità con le quali i biologi raggruppano, sistemano e categorizzano le varie entità al cui fondamento si trovano le specie di organismi viventi e fossili.
A partire dal sistema di Carolus Linnaeus (Linneo), ..................................
La biodiversità zootecnica risponde molto spesso ad esigenze adattative ad ambienti diversi proponendo un interazione “animale produttivo - ambiente di allevamento”.
...............
TESTO Dr. ALESSIO ZANON
Rispondo direttamente a questo post, senza prima leggere il successivo al quale, eventualmente, risponderò in un secondo tempo
E la miseria, Alessio, mi aspettavo una risposta sintetica, credo che sarebbe bastata, invece mi hai risposto qualcosa di grande.
Linneus lo conosco (la sua proposta di classificazione, tuttora applicata, anche con aggiornamenti, intendo dire), come conosco la teoria di Darwin, che mi aveva subito convinto, sin dai beati tempi dell’Università.
Conosco anche il concetto di “polimorfismo”, come so che per tutte le teorie ci sono sempre i critici e comunque quelli che, giustamente, propongono correzioni e novità. In base a nuove scoperte cioè non c’è mai una completa unanimità di concetti e vedute. Nel campo biologico succede sia per gli animali che per le piante (cambi e revisioni di tassonomia), è inutile dilungarsi, quello che mi interessa è altro.
So benissimo che un criterio univoco ed universale per identificare le specie in pratica non esiste, perché come sempre accade i pareri sono molteplici, sino agli estremi: i “negazionisti”
Come in tutte le scienze (Storia compresa) i
negazionisti ci sono sempre stati e sempre ci saranno (
non vi sono specie, ma. solo individui più o meno simili fra loro) . Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo (a me come individuo) mi fanno sorridere e non ci faccio caso. Per altri sono solo motivo di confusione Personalmente, a me piacciono le classificazioni logiche, chiare e sensate, che abbiano una loro praticità, di conseguenza sono d’accordo con lo zoologo Regan, quando dice: ”u
na specie é ciò che un sistematico competente considera come una specie”, purché sia una considerazione logica e chiara, senza perdersi in un mare di proposte ipotesi e teorie, almeno per quanto a noi ci interessa praticamente e per capirci. In altre parole mi trovo bene nel concetto: ”
la razza è un insieme di animali che si distinguono dagli altri della stessa specie per taluni caratteri comuni ed ereditari”. Sintetico, pratico e chiaro.
È chiaro comunque che, per effetto della evoluzione e dell’adattamento all’ambiente, in seguito a mutazioni genetiche casuali, gli individui più adatti si sostituiscono a quelli meno adatti formando una nuova specie (selezione naturale). Questo processo in natura avviene in parecchie migliaia di anni. Poi bisogna considerare le varietà (sp. in campo vegetale) e le sottospecie (in campo animale), posizioni intermedie ecc.
La selezione da parte dell’uomo (selezione artificiale) è , ovviamente, molto più rapida: l’uomo, sceglie i caratteri (di animali o piante) che più gli interessano e scarta gli altri e, nel giro di “poche” generazioni ottiene nuove razze, sottorazze e varietà : individui con le stesse caratteristiche che si tramandano geneticamente nelle generazioni future. È ovvio che questo lo può gare un allevatore pratico che non conosce la genetica, ma meglio ancora e più velocemente un esperto genetista. In questo caso (zootecnia) si formano nuove razze e non nuove specie, cioè individui diversi dalle razze da cui originano, ma sempre della stessa specie, cioè interspecifici e, di conseguenza, generalmente fertili, mentre incroci appartenenti a specie diverse generalmente sono sterili (asino x cavallo)
Ceppo: tu hai indicato alcuni concetti per questo termine. Evidentemente io, nel post precedente, mi riferivo a questo “
In seno ad una razza, si possono rilevare gruppi di animali che hanno uno o più caratteri secondari comuni trasmissibili alla prole, influenzati (o "indotti") dall'ambiente (clima, alimentazione, metodi di detenzione, etc.) ed evidenziati a seguito di azioni selettive” e mi sento di aggiungere io, anche a qualche eventuale mutazione naturale. Se poi questo concetto lo si vuole utilizzare solo nel senso di ibridi (commerciali o meno), cioè per gruppi di individui con caratteri fenotipici comuni, ma non trasmissibili nella progenie, a me non va più ne, anzi mi sembrerebbe contradditorio.
Sono d’accordo invece su questo:”
La differenza tra sottorazza e ceppo è spesso sfumata e l’uso che se ne fa dipende molto dagli ambiti di azione” e anche su questo:“I
n generale, si può dire che un ceppo può non presentare variazioni morfologiche apprezzabili rispetto alla razza madre, pur differenziandosene per aspetti produttivi non rilevabili a vista”.
Sono d’accordo anche sulla esistenza di “r
azze di transizione”, ossia che a volte ci sono “
difficoltà di stabilire dove finisca la razza, con altra razza confinante ed alle volte poco dissimile e dove incomincia la sottorazza o varietà” anche se si tratta in pratica di casi piuttosto rari.
Anche io sono sempre stato di questo parere: “
Razza autoctona. Questo termine viene mutuato in parte dalla biologia ma ha significato profondamente diverso.
Razza autoctona in zootecnia non implica per forza che i progenitori della razza siano propri del luogo in cui la razza si è formata e plasmata durante il processo selettivo”
Anche questo trovo interessante, per il proseguo del discorso e mi trova d’accordo: “1
L’origine: e cioè se è autocotona della zona che ora popola o se e stata importata in tempi relativamente recenti. Generalmente quelle autcotone sono il frutto più che altro dell’opera della natura e perciò sono ottimamente ambientate, quasi sempre rustiche e frugali ma anche poco produttive, le naturalizzate invece hanno subito un lavoro selettivo e pertanto, se pur più esigenti sono più produttive………”
“
Ogni razza possiede pochi geni che si trovano in tutti gli individui che la compongono e sono quelli che la distinguono dalle altre e per contro contiene molti geni diversi a seconda degli individui stessi” Anche questo mi sembra interessante e ovvio.
“
La razza “ecologica” è il frutto dell’isolamento entro una specie dovuto a una possibile barriera rappresentata da una condizione ecologica (pianura, costa, foresta, ecc.). All’inizio del secolo l’Italia era popolata pressoché esclusivamente da razze ecologiche; per ciascuna specie, esistevano una o più razze “ecologiche” distribuite in vari “bioterritori”. Oggi molte di esse sono scomparse, mentre altre sopravvivono, ma in forte contrazione, perché sostituite da tipi genetici più produttivi ma con altri problemi legati soprattutto a una minore “capacità al costruttivismo”. Questo è certamente il caso Sardo. Come questo passo:”Nei i Paesi europei esistono tuttora razze assimilabili alle primitive; basti pensare alla capra Alpina comune, al suino Sardo, al bovino Corso, etc” valido anche per il Cane Fonnese (di cui esistono varie “tipologie” o “ceppi) ed infatti è probabile il passaggio dalla categorie 2 a quella 5 (dei “cani primitivi”).
Questa definizione invece non mi sembra adeguata alla maggior parte delle razze avicole riconosciute:”
Secondarie o standardizzate. Derivano dalle precedenti per selezione di alcuni tipi o caratteri, e sono state ottenute in epoca più recente. La loro variabilità è quindi più ridotta a causa dell'isolamento riproduttivo a cui sono state sottoposte. Rientrano in questa categoria le razze universalmente riconosciute per uniformità fenotipica; sono molte le razze suine, bovine ed avicole che vantano una lunga selezione e standard rispettati minuziosamente per alcune centinaia di anni”, mentre è chiaro che la stragrande maggioranza delle razze avicole attuali corrisponda a questo “
"
Sintetiche. Sono derivate dalla combinazione di razze secondarie o di razze primitive e secondarie; hanno grandissime potenzialità produttive, ma ridotta variabilità. La razza sintetica sorge spesso nel tentativo di unire caratteri positivi appartenenti a due razze distinte. Quando si fonda sull’unione di razze già sottoposte a processo selettivo (razza secondaria X razza secondaria) il successivo processo di fissazione viene avvantaggiato da una più limitata variabilità fenotipica” e allora questo discorso sarà ripreso in seguito: vedo cioè perché un tipo di galline formatosi (naturalmente o meno) nella prima metà del ‘900, con caratteristiche morfologiche e comportamentali, ben fissate, non debba essere considerata “Razza”! In altre parole, quello che intendo io, mi sembra in accordo con la sintesi della FAO da te stesso riportata:
“
Sia un gruppo sottospecifico di animali domestici con caratteristiche esterne definibili e identificabili, e che consentono di distinguerlo visivamente da altri gruppi definiti nello stesso modo e appartenenti alla stessa specie, sia un gruppo per il quale la separazione geografica e/o culturale da gruppi fenotipicamente simili ha portato ad accettare la sua identità separata” “Either a subspecific group of domestic livestock with definable and identifiable external characteristics that enable it to be separated by visual appraisal from other similarly defined groups within the same species or a group for which geographical and/or cultural separation from phenotypically similar groups has led to acceptance of its separate identity” (FAO, 1999) “
Non mi sembra opportuno, per ora soffermarmi sulle diverse teorie del significato dei termini “sottorazze” o “varietà” che (secondo la mia opinione, che potrebbe essere non condivisa o errata) potrebbe coincidere, o essere molto vicino col termine “ceppo”. Comunque io sono molo interessata alla biodiversità, ed è per questo che insisto
A questo punto, io preferisco fermarmi, senza commentare altro del tuo interessantissimo (ma meticoloso e lunghissimo) intervento. Ho voluto esprimere soltanto il mio punto di vista critico, in base alla mia logica e alle mie conoscenze.
Grazie per tuo interessantissimo intervento
Pedru