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Il gallo canta troppo

26/07/2012, 12:30

Ciao a tutti, attualmente ho un gallo una gallina di 4 mesi e tre pulcini di 20 giorni
purtroppo il gallo comincia a catare alle 4 del mattino e si fa una cantata ogni ora circa, come posso fare almeno per limitare la cosa, se non altro per evitare l' ira dei vicini, la soluzione piu semplice è tiragli il collo, se possibile mi piacerebbe una soluzione alternativa
un saluto a tutti

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 15:59

Caro Maxel, purtroppo mi sa che non si può fare nulla affinchè il gallo canti di meno, io sono nella tua stessa condizione e ho provato tutta una serie di cose ma senza risultati. Finchè i miei vicini non vengono a lamentarsi lo tengo altrimenti mi sa che dovrò toglierlo. Bisognerebbe informarsi bene sulle distanze da mantenere dalle abitazioni e sulle regole vigenti, sto cercando anch'io qualcosa ma finora non ho trovato nulla a riguardo.
Saluti!

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 16:10

La luce e la tenebra sono archetipo e simbolo di Essere e di Nulla, di vita e di morte, di verità e di menzogna. Svegliatevi alla verità, uscite dal mondo falso: questo è il canto mattutino del gallo silvestre. Il giorno – in quanto vero – è paradigma della vita dell’uomo: all’alba (come nella giovinezza) domina la speranza che, però, diminuisce a mano a mano che passano le ore e muore alla sera. Questa è la realtà che giorno dopo giorno è svelata dalla luce del Sole. Accanto ai temi tipici del pensiero leopardiano, questa “Operetta” presenta un concetto nuovo che richiama in qualche modo il pensiero di Schopenhauer: il senso dell’Universo è dato dal movimento e dalla vita che agisce al suo interno; un Essere eternamente immobile sarebbe inutile. C’è da sottolineare la forzatura “poetica” a conclusione dello scritto: l’Essere, in quanto non generato, non può finire (“l’esistenza, che mai non è cominciata, non avrà mai fine”); ma perché non pensare (immaginare) che un Universo ormai senza vita (perché tutte le cose che si muovono vengono dal Nulla e prima o poi al Nulla ritornano) e inutile finalmente dilegui nel Nulla?

La conclusione poetica contraddice – come osserva lo stesso Leopardi – la logica filosofica tradizionale, ma apre una prospettiva filosofica nuova, all’interno della quale è l’uomo che dà un senso all’Universo e, quindi e a maggior ragione, alla sua propria vita.



G. Leopardi, Cantico del gallo silvestre (l824)



Affermano alcuni maestri e scrittori ebrei, che tra il cielo e la terra, o vogliamo dire mezzo nell’uno e mezzo nella altra. vive un certo gallo salvatico; il quale sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo. Questo gallo gigante, oltre a varie particolarità che di lui si possono leggere negli autori predetti, ha uso di ragione; o certo, come un pappagallo, è stato ammaestrato, non so da chi, a profferir parole a guisa degli uomini: perocché si è trovato in una cartapecora antica, scritto in lettera ebraica, e in lingua tra caldea, targumica; rabbinica, cabalistica e talmudica, un cantico intitolato, Scir detarnegòl bara letzafra, cioè Cantico mattutino del gallo silvestre: il quale, non senza fatica grande, né senza interrogare piú d’un rabbino, cabalista, teologo, giurisconsulto e filosofo ebreo, sono venuto a capo d’intendere, e di ridurre in volgare come qui appresso si vede. Non ho potuto per ancora ritrarre se questo Cantico si ripeta dal gallo di tempo in tempo, ovvero tutte le mattine; o fosse cantato una volta sola e chi l’oda cantare, o chi l’abbia udito; e se la detta lingua sia proprio la lingua del gallo, o che il Cantico vi fosse recato da qualche altra. Quanto si è al volgarizzamento infrascritto; per farlo piú fedele che si potesse (del che mi sono anche sforzato in ogni altro modo), mi è paruto di usare la prosa piuttosto che il verso, se bene in cosa poetica: Lo stile interrotto, e forse qualche volta gonfio, non mi dovrà essere imputato, essendo conforme a quello del testo originale: il qual testo corrisponde in questa parte all’uso delle lingue, e massime dei poeti, d’oriente.

Su, mortali, destatevi. Il dí rinasce: torna la verità in sulla terra, e partonsene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi la soma della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero.

Ciascuno in questo tempo raccoglie e ricorre coll’animo tutti i pensieri della sua vita presente; richiama alla memoria i disegni, gli studi e i negozi, si propone i diletti e gli affanni che gli sieno per intervenire nello spazio del giorno nuovo. E ciascuno in questo tempo è piú desideroso che mai, di ritrovar pure nella sua mente aspettative gioconde, e pensieri dolci. Ma pochi sono soddisfatti di questo desiderio: a tutti il risvegliarsi è danno. Il misero non è prima desto, che egli ritorna nelle mani dell’infelicità sua. Dolcissima cosa è quel sonno, a conciliare il quale concorse o letizia o speranza. L’una e l’altra insino alla vigilia del dí seguente, conservasi intera e salva; ma in questa; o manca o declina.

Se il sonno dei mortali fosse perpetuo, ed una cosa medesima colla vita, se sotto l’astro diurno, languendo per la terra in profondissima quiete tutti i viventi, non apparisse opera alcuna; non muggito di buoi per li prati, né strepito di fiere per le foreste, né canto di uccelli per l’aria, né sussurro d’api o di farfalle scorresse per la campagna; non voce, non moto alcuno, se non delle acque, del vento e delle tempeste, sorgesse in alcuna banda; certo l’universo sarebbe inutile; ma forse che vi si troverebbe o copia minore di felicità, o piú di miseria che oggi non vi si trova? Io dimando a te, o sole, autore del giorno e preside della vigilia; nello spazio dei secoli da te distinti e consumati fin qui sorgendo e cadendo, vedesti tu alcuna volta un solo infra i viventi essere beato? Delle opere innumerabili dei mortali da te vedute finora, pensi tu che pur una ottenesse l’intento suo, che fu la soddisfazione, o durevole o transitoria, di quella creatura che la produsse? Anzi vedi tu li presente o vedesti la felicità dentro ai confini del mondo? in qual campo soggiorna, in qual bosco, in qual montagna in qual valle, in qual paese abitato o deserto, in qual pianeta dei tanti che le tue fiamme illustrano e scaldano? Forse i nasconde al tuo cospetto, e siede nell’imo delle spelonche, o nel profondo della terra o del mare? Qual cosa animata ne partecipa; qual pianta o che altro che tu vivifichi; qual creatura provveduta o sfornita di virtú vegetative o animali? E tu medesimo, tu che quasi un gigante instancabile, velocemente, dí e notte, senza sonno né requie, corri lo smisurato cammino che ti è prescritto; sei tu beato o infelice?

Mortali, destatevi. Non siete ancora liberi dalla vita. Verrà tempo, che niuna forza di fuori, niuno intrinseco movimento, vi riscoterà dalla quiete del sonno; ma in quella sempre e insaziabilmente riposerete. Per ora non vi è concessa la morte: solo di tratto in tratto vi è consentita per qualche spazio di tempo una somiglianza di quella. Perocché la vita non si potrebbe conservare se ella non fosse interrotta frequentemente. Troppo lungo difetto di questo sonno breve e caduco, è male per se mortifero, e cagione di sonno eterno. Tal cosa è la vita, che a portarla, fa di bisogno ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, e ristorarsi con un gusto e quasi una particella di morte.

Pare che l’essere delle cose abbia per suo proprio ed unico obbietto il morire. Non potendo morire quel che non era, perciò dal nulla scaturirono le cose che sono. Certo l’ultima causa dell’essere non è la felicità, perocché niuna cosa è felice. Vero è che le creature animate si propongono questo fine in ciascuna opera loro, ma da niuna l’ottengono: e in tutta la loro vita, ingegnandosi, adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro; e non si affaticano, se non per giungere a questo solo intento della natura, che è la morte.

A ogni modo, il primo tempo del giorno suol essere ai viventi il piú comportabile. Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella loro mente pensieri dilettosi e lieti, ma quasi tutti se ne producono e formano di presente: perocché gli animi in quell’ora, eziandio senza materia alcuna speciale e determinata; inclinano sopra tutto alla giocondità, o sono disposti piú che negli altri tempi alla pazienza dei mali. Onde se alcuno, quando fu sopraggiunto dal sonno, trovavasi occupato dalla disperazione; destandosi, accetta novamente nell’animo la speranza, quantunque ella in niun modo se gli convenga. Molti infortuni e travagli propri, molte cause di timore e di affanno, paiono in quel tempo minori assai, che non parvero la sera innanzi. Spesso ancora, le angosce del dí passato sono volte in dispregio, e quasi per poco in riso come effetto di errori, e d’immaginazioni vane. La sera è comparabile alla vecchiaia; per lo contrario, il principio del mattino somiglia alla giovanezza: questo per lo piú racconsolato e confidente; la sera trista, scoraggiata e inchinevole a sperar male. Ma come la gioventú della vita intera, cosí quella che i mortali provano in ciascun giorno, è brevissima e fuggitiva; e prestamente anche il dí si riduce per loro in età provetta.

Il fior degli anni, se bene è il meglio della vita, è cosa pur misera. Non per tanto, anche questo povero bene manca in sí piccolo tempo, che quando il vivente a piú segni si avvede della declinazione del proprio essere, appena ne ha sperimentato la perfezione, né potuto sentire e conoscere pienamente le sue proprie forze, che già scemano. In qualunque genere di creature mortali, la massima parte del vivere è un appassire. Tanto in ogni opera sua la natura è intenta e indirizzata alla morte: poiché non per altra cagione la vecchiezza prevale sí manifestamente, e di sí gran lunga, nella vita e nel mondo. Ogni parte dell’universo si affretta infaticabilmente alla morte, con sollecitudine e celerità mirabile. Solo l’universo medesimo apparisce immune dallo scadere e languire: perocché se nell’autunno e nel verno si dimostra quasi infermo e vecchio, nondimeno sempre alla stagione nuova ringiovanisce. Ma siccome i mortali, se bene in sul primo tempo di ciascun giorno racquistano alcuna parte di giovanezza, pure invecchiano tutto dí, e finalmente si estinguono; cosí l’universo, benché nel principio degli anni ringiovanisca, nondimeno continuamente invecchia. Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna: parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio, ma un silenzio nudo e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Cosí questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi [Questa è conclusione poetica, non filosofica. Parlando filosoficamente, l’esistenza, che mai non è cominciata, non avrà mai fine].



(G: Leopardi, Tutte le opere, Sansoni, Firenze, l9885, vol. I, pagg. l56-l58)

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 16:24

Il canto del gallo
Forse a chi abita in città non dirà niente, ma per chi come me si trova a vivere nel verde, il canto del gallo è un noto compagno che ogni mattina si presenta a salutare il sole. Proverbiale è divenuto quindi questo “chicchirichì” a indicare le luci dell’alba: anche nel Vangelo Gesù dice a Pietro che gli testimonia la sua lealtà “Prima che il gallo canti, tu tre volte mi rinnegherai” (Gv, 13,38).

E dunque il canto del gallo è una mannaia che viene a tagliare i nostri sogni e a sottrarci all’oblio del sonno, al riposo in cui la coscienza è sospesa. Per alcuni una maledizione che fa ripiombare nella vita, per altri solo il segnale che si può ricominciare a vivere… Ecco tre poesie sul tema:

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BERTOLT BRECHT
ALBA
Non per caso
L'alba di un nuovo giorno
Inizia col grido del gallo
Che fin dai tempi antichi indica
Un tradimento.

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JACQUES PRÉVERT
IL MATTINO
Grido del gallo
Canto del cigno della notte
Messaggio monocorde e fastidioso
Che mi grida
Oggi si deve cominciar da capo
Oggi ancora oggi
Non sento la tua romanza
E faccio orecchie da mercante
Non ascolto il tuo grido
Eppure esco dal letto di buonora
Quasi ogni giorno della mia vita
E taglio il collo in pieno sole
Ai più bei sogni delle notti mie.

(da “Storie”, 1946)

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CARLO BETOCCHI
ODI IL GALLO
Odi il gallo, di vasta in vasta eco
entro la nebbia solatia ridesta
il proprio canto, e seco lui sparpaglia
di siepi e d'aie e rustiche muraglie
l'aria, evocando il paese d'infanzia
che mai non superò, che si accavalla
di viottoli, di spiazzi, di pruneti
stillanti pigramente una rugiada
che ci bagnò le mani, e che svanisce
al sole in quel suo canto.

(da “Poesie”, Vallecchi, 1955)

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Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 16:42

lauretto ha scritto:Caro Maxel, purtroppo mi sa che non si può fare nulla affinchè il gallo canti di meno, io sono nella tua stessa condizione e ho provato tutta una serie di cose ma senza risultati. Finchè i miei vicini non vengono a lamentarsi lo tengo altrimenti mi sa che dovrò toglierlo. Bisognerebbe informarsi bene sulle distanze da mantenere dalle abitazioni e sulle regole vigenti, sto cercando anch'io qualcosa ma finora non ho trovato nulla a riguardo.
Saluti!


Ciao a me risulta che la distanza deve essere almeno 25m, io ci sono quasi

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 16:49

ciao a me personalmente no da fastidio anzi, solo che ultimamente sono venute ad abitare in paese molte famiglie che arrivano dalla citta, e ho timore di ritrovarmi con qualche multa, spero che prima abbino la cortezza di lamentarsi verbalmente, per darmi modo di intervenire a mi malgrado

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 16:55

Se vuoi toglierti ogni dubbio vai in Comune e chiedi i regolamenti comunali in fatto di allevamento famigliare di polli.
Per attenuare il canto del tuo gallo chiudilo in un gabbione oscurato per la notte e liberalo al mattino dopo in orario in cui sia meno molesto.
Per il resto non vi sono rimedi . Non penso neanche che tu debba vivere con troppa ansia questa situazione se il pollaio era preesistente alla venuta dei nuovi vicini.

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 17:47

maxel ha scritto:ciao a me personalmente no da fastidio anzi, solo che ultimamente sono venute ad abitare in paese molte famiglie che arrivano dalla citta, e ho timore di ritrovarmi con qualche multa, spero che prima abbino la cortezza di lamentarsi verbalmente, per darmi modo di intervenire a mi malgrado


Ciao maxel ,informati in comune come ti ha consigliato Alessio.......... per il resto pensa positivo se sono venuti a vivere in paese e sono scappati dalla città un motivo c'è, vedrai che si abitueranno :D :D :D anzi dopo qualche tempo non ci faranno più caso. Poi le persone noiose sono da per tutto.
A me è capitato una coppia di giovani in affitto nella casetta al mare che si lamentavano del canto dei passerotti e fringuelli e del fatto che vedevano sui muri le lucertole ,gli ho detto :
siamo nel parco delle 5 terre cosa, pensavate di trovare?
quest'anno tornano.........si sono abituati :D :D

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 20:33

Purtroppo ne sappiamo qualcosa di problemi con i vicini per il canto dei galli....è da qualche anno che ci stanno dando filo da torcere in ogni modo e mezzo, con supporto di vigili, Asl e sindaco...non voglio aprire e discutere del mio caso perchè chi è un po' più vecchio come utente già lo conosce...ed ora non mi sembra il caso...però consiglierei di non cadere nella facile psicosi, il presunto "disturbo alla quiete pubblica" DEVE essere dimostrato con parametri oggettivi, e non deve riguardare una singola famiglia di vicini.

Maxel prima di uccidere il gallo pensaci bene e fare scelte affrettate.

Le distanze dei pollai variano secondo la zona e secondo il tipo di comune.

Re: Il gallo canta troppo

26/07/2012, 20:37

E' apprezzabile l'omaggio che poeti e scrittori vari hanno rivolto nel corso dei secoli al canto dei galli, in quanto espressione simbolica di molteplici aspetti e dimensioni della vita.

A me emoziona molto udirlo, e siccome vivo gran parte delle mie giornate in città, dico che magari ce ne fossero di questi "rumori" della natura, piuttosto dell'inquinamento acustico urbano che finisce per stordire e rendere ancor più dementi....soggetti magari poco brillanti e capaci di ascoltare attentamente i suoi che li circondano.
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