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Tecniche di coltivazione, malattie, concimazione, varietà, semine, trapianti e raccolta - Consigli e curiosità su serre, orti familiari, ecc.
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Re: si vive di produzione propria?

08/01/2012, 11:24

Il popolo di Israele è il primo presso cui ritroviamo il possesso privato della terra. Nel libro del Deuteronomio (27,17) leggiamo: «Maledictus qui transfert terminos proximi sui», «Sia maledetto chi sposta le pietre di confine del suo vicino».
Quando i romani iniziarono a sottomettere le popolazioni italiche definirono le terre conquistate col termine di "agro pubblico".
Una parte di questi terreni veniva divisa in centurie, cioè in rettangoli più o meno equivalenti, destinati ad essere assegnati ai coloni-soldati, che di mestiere facevano i contadini e che su questi lotti praticavano sostanzialmente un'agricoltura di sussistenza.
Altri terreni potevano essere affittati a cittadini privati, che quindi li gestivano, anche potendo trasmetterli in via ereditaria, senza averne la proprietà, che restava statale.
La parte del leone toccò sempre ai comandanti militari, membri dell'aristocrazia senatoria, forniti di poteri quasi illimitati, che potevano far lavorare sulle loro terre coloni e schiavi.
Fu soprattutto dopo le guerre puniche che alcuni ceti (i patrizi) si arricchirono enormemente, trasformando il demanio pubblico in proprietà privata. Gli investimenti erano prevalentemente indirizzati all'acquisto di terre, in quanto i senatori, secondo una legge del 218 a.C., dovevano tenere separati l'attività politica da quella commerciale in senso stretto.
I senatori riuscirono ad aggirare abbastanza facilmente anche un'altra legge antica (legge Sextia del IV sec. a.C.) che vietava di occupare più di 500 iugeri (100 ettari) di agro pubblico.
Il processo di concentrazione terriera nelle mani di pochi privilegiati non trovò ostacoli neppure con le vicende dei Gracchi e praticamente determinò la crisi irreversibile della piccola proprietà contadina libera.
In questo quadro s'inserisce il primo trattato di agricoltura di Marco Porcio Catone dal titolo De Agri Cultura. e l’azienda di cui parla è finalizzata non ad un’economia di sussistenza ma di mercato e contrappone il modello del podere di medie dimensioni al nascente latifondo. Catone consiglia il podere da acquistare, i lavori da compiere, insegna la cura delle malattie di piante e animali, i compiti del fattore, insegna come trattare i dipendenti e come comportarsi con gli schiavi. Tuttavia il calcolo economico era molto rudimentale, praticamente si riduceva al principio: "vendere molto e comprare poco"
L'agronomo Columella, contemporaneo di Seneca, scrisse un nuovo trattato di agricoltura il De re rustica in cui fa chiaramente capire che la pratica dell'affitto può dare ottimi risultati.
Il possesso di terreni e la produzioni di beni destinati al mercato creano la rendita, in economia definibile come il reddito percepito in virtù della proprietà di una risorsa naturale.
Essa è distinta dal profitto, che è invece pari alla differenza tra i ricavi e i costi dell'impresa.
Nasce così l’agricoltura moderna non più basata su una economia di sussistenza, ma su principi economici ben definiti come la rendita e il profitto.
La più importante analogia con il sistema attuale è che l'energia utilizzata dai romani era la manodopera gratutita degli schiavi, mentre oggi è stata la meccanizzazione alimentata da petrolio.
Il sistema agricolo romano è crollato intorno all'anno mille, a quando il crollo del nostro sistema moderno??????
Ricordo che l'alternativa è stata un ritorno all'agricoltura di sussistenza attraverso il recupero di vecchie conoscenze agronomiche codificate nel "geoponica".
Buona giornata a tutti.

Re: si vive di produzione propria?

08/01/2012, 20:18

:D
La parabola del contadino e dello speculatore

Un contadino ha un campo di grano e produce pasta e pane. Un secondo contadino ha un frutteto. Un allevatore ha un gregge di pecore e produce latte e formaggi. Un artigiano realizza mobili in legno, un altro fila la lana e tesse indumenti.

Re: si vive di produzione propria?

09/01/2012, 1:55

Ciao ico, ma sei il Federico che conosco io?

Io ho già fatto il tuo folle passo in modo molto più precipitoso e istintivo di quanto abbia fatto te(a quanto leggo) dunque già questo mi fa pensare che te la caverai bene.

Sottolinerei il consiglio di Campesino di non fare debiti. Poi valutando i vari consigli, tieni conto della zona geografica da cui gli altri scrivono, in certe zone la vita costa meno, in altre puoi fare baratti, in altre è più facile piazzare prodotti ecc...
Bologna è una buona zona perchè ci sono mercatini di produttori locali di cui potresti informarti se non li conosci già(genuino clandestino ecc...). Però lì la vita costa abbastanza

53 ettari, trattori, macchine, coltivatore diretto, fare il boscaiolo... non è che tanto vale continuare a fare il tuo lavoro e poi avere l'hobby dell'agricoltura? Non solo in senso economico, ma nel senso che anche umanamente potrebbe essere poco gratificante essere un imprenditore agricolo se il tuo scopo è fare il contadino, perchè a mio avviso c'è una certa differenza.
Magari è più semplice avere un lavoro part time e poi avere orto, animali, frutta, vigne e quello che ti pare per te e piccole eccedenze da vendere pittosto che provare a fare un lavoro agricolo che ti richiede specializzazione e paradossalmente potrebbe lasciarti meno tempo per gli altri settori dell'agricoltura che non un lavoro part time di un settore differente.
Te lo dico perchè vivo questo dramma.

Sì è vero, da solo potresti vivere con 4000 e all'anno, secondo me anche meno, e questi potresti ricavarli dalle eccedenze dell'agricoltura di sussistenza, ma se dovesse capitarti di avere dei figli?

Certo che in caso di vera crisi, potrebbe cavarsela meglio un contadino di un impiegato. Ma per ora... forse è meglio tenere un piede da una parte e uno dall'altra.

Re: si vive di produzione propria?

09/01/2012, 19:14

Sì è vero, da solo potresti vivere con 4000 e all'anno, secondo me anche meno, e questi potresti ricavarli dalle eccedenze dell'agricoltura di sussistenza, ma se dovesse capitarti di avere dei figli?

mi ripeto, ma è una questione di aspettative di vita.
Oltretutto le eccedenze, se di qualità e se ottenute con processi naturali, potrebbero portare un ricavo nettamente maggiore di quello sopra riportato: l'importante non è farsi abbattere dai primi insuccessi, cercare ci conoscere aziende simili alla propria, cavalcare le possibilità offerte dal territorio (in fatto di mercati e mercato) e sopratutto (almeno da mio personalissimo punto di vista) sfruttare le tradizioni e le autoctonicità del territorio.

Re: si vive di produzione propria?

09/01/2012, 20:16

PALLINOF ha scritto:Il popolo di Israele è il primo presso cui ritroviamo il possesso privato della terra. Nel libro del Deuteronomio (27,17) leggiamo: «Maledictus qui transfert terminos proximi sui», «Sia maledetto chi sposta le pietre di confine del suo vicino».
Quando i romani iniziarono a sottomettere le popolazioni italiche definirono le terre conquistate col termine di "agro pubblico".
Una parte di questi terreni veniva divisa in centurie, cioè in rettangoli più o meno equivalenti, destinati ad essere assegnati ai coloni-soldati, che di mestiere facevano i contadini e che su questi lotti praticavano sostanzialmente un'agricoltura di sussistenza.
Altri terreni potevano essere affittati a cittadini privati, che quindi li gestivano, anche potendo trasmetterli in via ereditaria, senza averne la proprietà, che restava statale.
La parte del leone toccò sempre ai comandanti militari, membri dell'aristocrazia senatoria, forniti di poteri quasi illimitati, che potevano far lavorare sulle loro terre coloni e schiavi.
Fu soprattutto dopo le guerre puniche che alcuni ceti (i patrizi) si arricchirono enormemente, trasformando il demanio pubblico in proprietà privata. Gli investimenti erano prevalentemente indirizzati all'acquisto di terre, in quanto i senatori, secondo una legge del 218 a.C., dovevano tenere separati l'attività politica da quella commerciale in senso stretto.
I senatori riuscirono ad aggirare abbastanza facilmente anche un'altra legge antica (legge Sextia del IV sec. a.C.) che vietava di occupare più di 500 iugeri (100 ettari) di agro pubblico.
Il processo di concentrazione terriera nelle mani di pochi privilegiati non trovò ostacoli neppure con le vicende dei Gracchi e praticamente determinò la crisi irreversibile della piccola proprietà contadina libera.
In questo quadro s'inserisce il primo trattato di agricoltura di Marco Porcio Catone dal titolo De Agri Cultura. e l’azienda di cui parla è finalizzata non ad un’economia di sussistenza ma di mercato e contrappone il modello del podere di medie dimensioni al nascente latifondo. Catone consiglia il podere da acquistare, i lavori da compiere, insegna la cura delle malattie di piante e animali, i compiti del fattore, insegna come trattare i dipendenti e come comportarsi con gli schiavi. Tuttavia il calcolo economico era molto rudimentale, praticamente si riduceva al principio: "vendere molto e comprare poco"
L'agronomo Columella, contemporaneo di Seneca, scrisse un nuovo trattato di agricoltura il De re rustica in cui fa chiaramente capire che la pratica dell'affitto può dare ottimi risultati.
Il possesso di terreni e la produzioni di beni destinati al mercato creano la rendita, in economia definibile come il reddito percepito in virtù della proprietà di una risorsa naturale.
Essa è distinta dal profitto, che è invece pari alla differenza tra i ricavi e i costi dell'impresa.
Nasce così l’agricoltura moderna non più basata su una economia di sussistenza, ma su principi economici ben definiti come la rendita e il profitto.
La più importante analogia con il sistema attuale è che l'energia utilizzata dai romani era la manodopera gratutita degli schiavi, mentre oggi è stata la meccanizzazione alimentata da petrolio.
Il sistema agricolo romano è crollato intorno all'anno mille, a quando il crollo del nostro sistema moderno??????
Ricordo che l'alternativa è stata un ritorno all'agricoltura di sussistenza attraverso il recupero di vecchie conoscenze agronomiche codificate nel "geoponica".
Buona giornata a tutti.


mi nonno mi diceva sempre una cosa che ho poi capito da piu grande...
devi sapere da dove vieni,se vuoi capire dove stai andando.....
fa sorridere o forse no...,quanto la storia dell'agricoltura sia la medesima di tutti gli altri settori,e vada indissolubilmente a braccetto con la storia della moderna societa.
pare chiaro che,la direzione presa sia dall'agricoltura,e piu in generale dalla societa,sia andata molto oltre l'umana e naturale tollerabilita,e tutti, prima o dopo dovremmo fare un passo indietro,indipendentemente dal lavoro svolto,dalle ambizioni,o dai patrimoni personali accumulati.

sappiamo fare soldi in un unica maniera (fruttando le materie prime)e voi in quanto agricoltori sapete meglio di me' che la natura non puo fare + 3% ogni anno per mantenere una societa che si basa su questo.
sono solo opinioni personali e non pretendo di dire o insegnare niente a nessuno....anzi sono qui per imparare.

MarcelloC ha scritto:Ciao ico, ma sei il Federico che conosco io?

Io ho già fatto il tuo folle passo in modo molto più precipitoso e istintivo di quanto abbia fatto te(a quanto leggo) dunque già questo mi fa pensare che te la caverai bene.

Sottolinerei il consiglio di Campesino di non fare debiti. Poi valutando i vari consigli, tieni conto della zona geografica da cui gli altri scrivono, in certe zone la vita costa meno, in altre puoi fare baratti, in altre è più facile piazzare prodotti ecc...
Bologna è una buona zona perchè ci sono mercatini di produttori locali di cui potresti informarti se non li conosci già(genuino clandestino ecc...). Però lì la vita costa abbastanza

53 ettari, trattori, macchine, coltivatore diretto, fare il boscaiolo... non è che tanto vale continuare a fare il tuo lavoro e poi avere l'hobby dell'agricoltura? Non solo in senso economico, ma nel senso che anche umanamente potrebbe essere poco gratificante essere un imprenditore agricolo se il tuo scopo è fare il contadino, perchè a mio avviso c'è una certa differenza.
Magari è più semplice avere un lavoro part time e poi avere orto, animali, frutta, vigne e quello che ti pare per te e piccole eccedenze da vendere pittosto che provare a fare un lavoro agricolo che ti richiede specializzazione e paradossalmente potrebbe lasciarti meno tempo per gli altri settori dell'agricoltura che non un lavoro part time di un settore differente.
Te lo dico perchè vivo questo dramma.

Sì è vero, da solo potresti vivere con 4000 e all'anno, secondo me anche meno, e questi potresti ricavarli dalle eccedenze dell'agricoltura di sussistenza, ma se dovesse capitarti di avere dei figli?

Certo che in caso di vera crisi, potrebbe cavarsela meglio un contadino di un impiegato. Ma per ora... forse è meglio tenere un piede da una parte e uno dall'altra.

non mi chiamo federico,ico e' un "nome di battaglia" dei miei trascorsi motociclistici. :D

la mia opinione su debiti e banche,e' veramente bassissima percio non corro rischi,di indebitarmi.

i 53 ettari,macchine e trattori sono solo le opportunita che mi si presentano ma come ho scritto le mie ambizioni sono molto piu limitate.
penso (ma non ne sono sicuro)che coltivare 6h, fare legna per l'inverno,e accudire qualche gallina non mi impegni come un lavoro di 8 ore al giorno,e spero mi rimanga il tempo per un orto.

da quel che mi avete scritto con quest'attivita non arrivero nemmeno a 4000€,e un figlio non ci sta.....
alla mia eta pero' ho gia vagliato questa meravigliosa possibilita,ma ho deciso di rinuciarci per molti motivi, che non sfiorano il discorso danaro,ma e' frutto di personali convinzioni....quindi inutile esporle.

sono molto interessato invece a capire come mai ti sei buttato senza molta preparazione.
perche sei pentito della tua scelta?
sei forse costretto a coltivare troppo e ti manca il tempo per dedicarti a cio che ti piace?

p.s. se dovesse arrivare la crisi (quella vera) il fare il contadino non mi aiutera.......non posso certo sparare a 7000000000 di persone affamate e in cerca di cibo.

Re: si vive di produzione propria?

09/01/2012, 22:03

Non mi sono spiegato, non sono pentito della mia scelta, sono contentissimo di averla fatta.

Quello che mi piace fare è principalmente coltivare e stare con gli animali, dunque è impossibile che dedicarmi all'agricoltura mi impedisca di fare ciò che mi piace.

Solo che la dura realtà del fisco, delle norme igeniche(che secondo me sono veri e propri sbarramenti economici che hanno ben pochi legami reali con la salute) e del costo della vita mi stanno scoraggiando a pensare di fare l'agricoltura come lavoro che produce denaro. Invece grandissima soddisfazione trovo dal produrre per me e dal vendere pochi prodotti che in genere lasciano sbalordito il consumatore per la bontà e specialmente per la differenza che hanno con i prodotti industriali, anche con quelli che vengono spacciati come biologici o di qualità.
Con queste vendite è possibilissimo coprire le spese varie. 4000 euro è una cifra molto relativa.

Ultimamente ad esempio ho provato a fare il capraro al di là dell'autoproduzione, e mi sono ritrovato a trascurare l'orto, gli ulivi, gli alberi da frutto ecc... e alla fine non mi godo neanche le capre perchè sono nervoso per queste altre cose... A questo ti volevo consigliare di fare attenzione. (Io sicuramente ho fatto degli errori logistici).
Allora sono arrivato al punto di pensare che forse sarebbe meglio ricominciare a lavorare in modo più consono, magari part-time, e poi godermi la campagna con animo più spensierato.

Spero di essermi spiegato.

Io mi sono buttato nella vita agricola senza troppe precauzioni perchè ne ho sentito la necessità per il mio benessere psicofisico. Era la mia passione da sempre.

A questo punto, facendoti un po' di conti in tasca, se non avrai figli e se non dovrai aiutare altri familiari, non farai debiti e aspiri ad una vita frugale mi sento di dirti che ce la puoi fare tranquillamente.

Magari se saremo in parecchi a produrre cibo forse non saranno proprio 7 miliardi gli affamati. Allora non sono l'unico ad avere queste paranoie?

Re: si vive di produzione propria?

11/01/2012, 0:10

bè secondo me o ti dediki alla campagna anima e corpo o lasci perder perkè è una cosa ke o la fai bene o altrimenti prendi dell sole enormi ... 6 ha nn sono poki e cmq dipende dalla coltura ke faresti;se allevi animali nn puoi coltivare la terra(professionalmente) e viceversa poike sia gli uni ke gli altri rikiedono tempo e attenzione! ;) almeno dovreste esser in due o tre magari cosi da dedicarsi ognuno a un settore e commettere meno errori...impara a capire il linguaggio del terreno ,capire se può esser lavorato,seminato,irrigato,o lasciato a maggese,il frumento è poi così facile da coltivare capire una malattia o infestazine di malere i medicinali se necessari ,e soprattutto il momento giusto per la raccolta e tante altre cose ...per gli animali nn cè festa nn cè domenica mangiano e producono tutti i giorni,comincia da piccoli animali galline polli maiali lascia perdere vakke conigli troppo impegnativi e delicati quando ti sarai 'ambientato' potrai provarci :D cmq quasto nn è un messagio scoragiante ma una panoramica su cosa ti aspetta ,la vita di campagna è bellissima ma a volte rikiede sacrifici, io per primo ne sno orgoglioso e contento e nn la cambierei per nulla al mondo :mrgreen:

Re: si vive di produzione propria?

12/01/2012, 1:13

PALLINOF ha scritto:Il popolo di Israele è il primo presso cui ritroviamo il possesso privato della terra. Nel libro del Deuteronomio (27,17) leggiamo: «Maledictus qui transfert terminos proximi sui», «Sia maledetto chi sposta le pietre di confine del suo vicino».
Quando i romani iniziarono a sottomettere le popolazioni italiche definirono le terre conquistate col termine di "agro pubblico".
Una parte di questi terreni veniva divisa in centurie, cioè in rettangoli più o meno equivalenti, destinati ad essere assegnati ai coloni-soldati, che di mestiere facevano i contadini e che su questi lotti praticavano sostanzialmente un'agricoltura di sussistenza.
Altri terreni potevano essere affittati a cittadini privati, che quindi li gestivano, anche potendo trasmetterli in via ereditaria, senza averne la proprietà, che restava statale.
La parte del leone toccò sempre ai comandanti militari, membri dell'aristocrazia senatoria, forniti di poteri quasi illimitati, che potevano far lavorare sulle loro terre coloni e schiavi.
Fu soprattutto dopo le guerre puniche che alcuni ceti (i patrizi) si arricchirono enormemente, trasformando il demanio pubblico in proprietà privata. Gli investimenti erano prevalentemente indirizzati all'acquisto di terre, in quanto i senatori, secondo una legge del 218 a.C., dovevano tenere separati l'attività politica da quella commerciale in senso stretto.
I senatori riuscirono ad aggirare abbastanza facilmente anche un'altra legge antica (legge Sextia del IV sec. a.C.) che vietava di occupare più di 500 iugeri (100 ettari) di agro pubblico.
Il processo di concentrazione terriera nelle mani di pochi privilegiati non trovò ostacoli neppure con le vicende dei Gracchi e praticamente determinò la crisi irreversibile della piccola proprietà contadina libera.
In questo quadro s'inserisce il primo trattato di agricoltura di Marco Porcio Catone dal titolo De Agri Cultura. e l’azienda di cui parla è finalizzata non ad un’economia di sussistenza ma di mercato e contrappone il modello del podere di medie dimensioni al nascente latifondo. Catone consiglia il podere da acquistare, i lavori da compiere, insegna la cura delle malattie di piante e animali, i compiti del fattore, insegna come trattare i dipendenti e come comportarsi con gli schiavi. Tuttavia il calcolo economico era molto rudimentale, praticamente si riduceva al principio: "vendere molto e comprare poco"
L'agronomo Columella, contemporaneo di Seneca, scrisse un nuovo trattato di agricoltura il De re rustica in cui fa chiaramente capire che la pratica dell'affitto può dare ottimi risultati.
Il possesso di terreni e la produzioni di beni destinati al mercato creano la rendita, in economia definibile come il reddito percepito in virtù della proprietà di una risorsa naturale.
Essa è distinta dal profitto, che è invece pari alla differenza tra i ricavi e i costi dell'impresa.
Nasce così l’agricoltura moderna non più basata su una economia di sussistenza, ma su principi economici ben definiti come la rendita e il profitto.
La più importante analogia con il sistema attuale è che l'energia utilizzata dai romani era la manodopera gratutita degli schiavi, mentre oggi è stata la meccanizzazione alimentata da petrolio.
Il sistema agricolo romano è crollato intorno all'anno mille, a quando il crollo del nostro sistema moderno??????
Ricordo che l'alternativa è stata un ritorno all'agricoltura di sussistenza attraverso il recupero di vecchie conoscenze agronomiche codificate nel "geoponica".
Buona giornata a tutti.


Scusa, ho letto superficialmente ciò che hai scritto. Però, supponendo che crolli tutto ciò ch credi, quanto dovremmo pagare un kg di mele? Al giorno d'oggi non c'è bisogno solo di mangiare,ma anche d'essere informati su quanto fa il governo Monti, e velocemente. Questo costa. Il mondo mi sembra leggermente diverso da quello di Mosè e dell'anno mille e con dei bisogni che vanno leggermente oltre quelli della sussistenza. Io non penso che ci si possa costruire un’idea del mondo solo rimanendo a tavola…

Re: si vive di produzione propria?

12/01/2012, 9:03

ho conosciuto persone che ,da sole e senza famiglia, han girato il mondo senza mezzi.
E vivevano benissimo, spesso affamate ma felici e libere.
Diverso e' quando hai figli.. A meno di non imporre loro una vita nomade o comunque di ristrettezze (soprattutto culturali) NON PUOI PENSARE AD UN'IMPOSTAZIONE DI VITA BASATA SULLA SUSSISTENZA.
E non sto parlando della rinuncia ad un nuovo iphone, PARLO DELLA POSSIBILITA' DI VEDERE OPERE D'ARTE, di leggere, di essere informati, di imparare l'aritmetica la geometria e la matematica,l'astronomia.
Parlo di saper guidare un mezzo a motore piuttosto che un computer o usare un pennello
Anche la scelta di cominciare un'agricoltura di un certo tipo, se e' una scelta, presuppone una conoscenza ed una cultura di base superiore, altrimenti quando la sussistenza e' solo un modo per risolvere la fame (come era in passato), diviene presto una necessita' ed allora perde il fascino della scelta per divenire un obbligo dettato dalla poverta'.
Insomma il vero lusso e' l'aver potuto comprendere e scegliere... e' questo che vorrei mantenere in futuro.

Re: si vive di produzione propria?

12/01/2012, 10:42

raviolo ha scritto:ho conosciuto persone che ,da sole e senza famiglia, han girato il mondo senza mezzi.
E vivevano benissimo, spesso affamate ma felici e libere.
Diverso e' quando hai figli.. A meno di non imporre loro una vita nomade o comunque di ristrettezze (soprattutto culturali) NON PUOI PENSARE AD UN'IMPOSTAZIONE DI VITA BASATA SULLA SUSSISTENZA.
E non sto parlando della rinuncia ad un nuovo iphone, PARLO DELLA POSSIBILITA' DI VEDERE OPERE D'ARTE, di leggere, di essere informati, di imparare l'aritmetica la geometria e la matematica,l'astronomia.
Parlo di saper guidare un mezzo a motore piuttosto che un computer o usare un pennello
Anche la scelta di cominciare un'agricoltura di un certo tipo, se e' una scelta, presuppone una conoscenza ed una cultura di base superiore, altrimenti quando la sussistenza e' solo un modo per risolvere la fame (come era in passato), diviene presto una necessita' ed allora perde il fascino della scelta per divenire un obbligo dettato dalla poverta'.
Insomma il vero lusso e' l'aver potuto comprendere e scegliere... e' questo che vorrei mantenere in futuro.

Il tuo intervento è molto interessante.
io credo che ad oggi non si rischi di ri-piombare in un buio medioevo, ma che comunque il rischio di avvicinarcisi sia altissimo.
a differenza di quanto accadeva al tempo di mosè, o all'anno mille...ricordiamoci che abbiamo oramai acquisito un modo di SAPERE e CONOSCERE che è insito nella nostra vita, e che quindi sarebbe scontato che anche questo (seppur adattandosi) riuscirebbe a sopravvivere a molte eventuali catastrofi economiche (o semplici rivoluzioni dei mercati).
L'era del petrolimico sta finendo, e sta finendo molto più velocemente di quanto non ci avevano dato da credere (e questo sopratutto grazie a noi), e solo grazie a quanto acquisito (come dici giustamente te raviolo) potremo superare anche questo.
qui non si parla delle glaciazioni, dei meteoriti o delle epidemie in puro stile hollywoodiano, ma di un'economia che presto cambierà...e della fine del petrolio.
A quel punto l'agricoltura (NON A CASO bene primario) dovrà per forza cambiare e ridimensionarsi a misura di uomo..e non più di macchina o di mercato globale.
io non sono un sovversivo, e neanche plaudo ad una fine così catastrofica...in effetti sono molto spaventato che tutto questo possa davvero accadere (anche solo in parte...), ma credo che noi Agricoltori avremo allora più di ora una responsabilità fondamentale nello svolgere il nostro lavoro.
forse "La Fine del Mondo Storto" di Mauro Corona la dice lunga sul ruolo dell'agricoltura di fronte a qualcosa del genere 8anche se quella è una novella futuristica e va presa come tale).
Ma il fatto (per non andare troppo OT) è...si vive di produzione propria..oggi?
Domani per forza, ma oggi?
Io ci provo, e non frequento sette di esaltati, non sono un'estremista politico, non appartengo ad associazioni radicali, nè tanto meno voglio apparire come millantatore o santone...lo faccio per scelta, e per scelta ho deciso di fare nun'agricoltura a misura d'uomo..anzi, a misura di ME e basta. producendo quanto mi occorre per il sostentamento, e vendendo il "di più" per pagare tutta quella cavolo di struttura burocratica che bene o male ho (quasi al pari del grande latifondista) e che VOGLIO PAGARE perchè è giusto così.
Son matto? Forse, ma pian piano ci stò riuscendo.
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