Ok...finito ( finalmente aggiungerei ). Ho passato una buona giornata... Allora vorrei tirare delle conclusioni cosi a caldo se me lo permettete. Come ho detto prima e alcuni di voi sanno mi occupo di biologico. Anch'io come pallinof prima di arrivare al biologico sono passato dal chimico ma non dal chimico in agricoltura, pratica che ho sempre evitato consumando direttamente il prodotto, ma dal chimico nel giardinaggio e tappeti erbosi. Sono d'accordo che non conviene usare i prodotti dove può arrivarci la natura stessa. Vera è l'affermazione di Pallinof , non chiedetemi a che pagina, quando parlava dello sviluppo dell'agricoltura attuale riguardo ai motivi e ai metodi. Però devo dire che anche Eugenio aveva ragione quando chiedeva dei dati economici che ad un anno dall'inizio della discussione non sono usciti. La discussione pratica richiederebbe effettivamente anche un controllo dei dati. Raviolo però mi pare sia quello più amministrativo e anticipo in diretta che se lui vuole andrò a trovarlo essendo, mi pare, abbastanza vicino. La differenza sta sempre è solo nella quantità di produzione. La mia disquisizione sul metodo è esclusivamente locale. Piu volte nella discussione e io credo nella sanità mentale è assolutamente d'uopo prendere dal passato per migliorare il futuro. Dunque immagino quando mio padre e soprattutto mio nonno, che era un produttore orticolo in argentina ormai 100 anni fà, aravano il suolo con monovomeri attaccati al bue. Credo che aratura sia un termine improprio riferito a quel metodo ma potremmo definirlo erpicatura perchè è vero che rivoltavano la terra ma rivoltavano esclusivamente la coltre erbosa e il resto degli scarti, se ve ne erano, derivanti dalla vecchia coltura. Non approfondivano mai oltre i 20 cm. Dunque prendere dal passato mi costringe a pensare che in realtà l'erpicatura era, ed aggiungo è, un ottimo sistema per facilitare la produzione. Se coltivassi patate, farlo in un terreno dove sia presente il manto erboso sarebbe assolutamente un suicidio in quanto i “ferretti” assaggerebbero le stesse prima di portarle alla vendita. Se dovessi produrre vino , a parte l’erba al piede, il verderame dovrei comunque darlo. Certo potrei evitare di darlo, questo è pacifico, ma non troverei cantine disposte a prendere il prodotto e allora dovrei pigiarlo e farmi tutto da me. Va benissimo ma il costo del prodotto deve valere il lavoro perchè l'enel, il gas, l'acqua richiedono il pagamento delle bollette e non posso dirle io seguo Fukuoca e devo pagar meno.... Quindi il limite resta sempre che cosa devo farci del prodotto. Oggi ho fatto un giro al mercato. Sui banchi c’erano i carciofi. Ora che saranno pronti i miei la committenza avrà già voglia di pomodori che naturalmente troverà sui banchi mentre io dovrò ancora metterli a terra. Non sto dicendo che è sbagliato il metodo. Sto dicendo che è sbagliato se si vuole produrre per viverci. Perche avere competizione oltre misura con le erbe? Se sono riuscito ad inserire le foto vedrete i miei prodotti o meglio i miei futuri prodotti che ho raccolto e venduto. Ma non comprendo come si possa fare impresa andando oltre i limiti. A mio avviso è un buon metodo ma non in tutti i terreni e non a tutte le latitudini e non a tutti gli scopi. L’ha detto anche Raviolo che i finocchi gli sono montati prima del tempo. E’ giusto spingere la ricerca della resa in cambio dell’insicurezza? Anche il mio caro Cicerone decantava l’agricoltura ma già all’epoca, almeno alle nostre latitudini, si usava la zappa. Perché rifiutarla?? Dal non utilizzare prodotti a stressare la coltura, perché deve lottare con altri esseri viventi per dimostrare il proprio valore, c’è differenza. Credo che il mestiere del coltivatore, colui che lo fa per vivere, sia aiutare ciò che si vuole ottenere senza forzare un ambiente che ospiterà presto altri esseri. Per giustezza vesso Eugenio a questo punto dovreste esporre i dati economici.
mah, guarda. io ho lasciato perdere il discorso economico perchè non è applicabile, il motivo? semplice: per produrre una KCal di alimento, attualmente, nell'agricoltura industriale, si usano in media 10 KCal di combustibili fossili... è evidente che non si può confrontare i due metodi perchè uno è a ciclo chiuso, l'altro è a ciclo aperto e, per le attuali richieste economiche (bada bene: economiche!!) il sistema industrializzato è il piu appropriato. quando, un giorno che io suppongo possa essere anche vicino, il petrolio non sarà più così a buon mercato, finalmente si potrà parlare di agricoltura senza l'uso di composti fossili.
si è più volte alzato un gran polverone riguardo la disquisizione di combustibili "alternativi"..."l'idrogeno ci salverà" "io mi faccio il mio campo a girasole e ci mando il trattore" e altre cose del genere... bene: http://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_en ... energetico il link sopra riporta chiaramente l'inapplicabilità di questa cosa. quindi, tolte tutte le inutili e sterili polemiche: per ora, il sistema industriale è economicamente conveniente; in futuro cambieranno le regole del gioco e coloro che non si saranno convertiti ad un tipo di agricoltura meno "oil addicted" si ritroveranno ad avere seri problemi...perchè.... chi fà biologico...sà perfettamente quanti anni ci vogliono per un ripristino parziale della quantità organica...
è proprio vero: in un futuro prossimo ci sarà davvero tanto da divertirsi...
Hai ragine Federico. Il punto però credo sia nel dare a chi come me lavora nell'ambiente un motivo in più per scegliere l'uno o l'altro prodotto. Si potrebbe incominciare ad inserire dei dati. Io sono il mno indicato ma se volgiamo che l'agricoltura diventi un dato obbliettivo bisognarà pur partire da qualche parte. Oggi come oggi possimao affermare che il seme biologico all'origine costa un 10-20% in più del convenzionale. Però la germinabilità è inferiore del 25-30 % Il prodotto venduto ha un prezzo di vendita normalmente superiore del 30-40 % rispetto al convenzionale ma, il prodotto raccolto giusto, ha una durata assolutamente inferiore al prodotto convenzionale. da un lato il consumatore non consuma tutto il prodotto ma ne butta anche una certa parte in quanto troppo maturo ,ma dall'altra il più attento lo acquista poco per volta. Altri dati aggiungeteli voi.
non voglio ripetermi ma, secondo me, non c'è possibilità di paragone. ti faccio un esempio: attualmente in agricoltura,parlando di ortaggi, il prezzo migliore lo spuntano le primizie. ma cosa vuol dire "primizie"? vuol dire che fai crescere le cose in serre riscaldate, cercando di "pompare" il prodotto per poter essere fra i primi a venderlo e spuntare così un buon prezzo. quindi cosa succede: succede che tutta la filiera, lavora costantemente fuori stagione, usando, per l'appunto, combustibili fossili.
suona male, suona veramente male, ma l'agricoltore di professione non potrà mai e poi mai pensare di applicare una cosa del genere, semplicemente perchè non è padrone delle sue scelte...l'agricoltore di professione è una maglia della catena di distribuzione...una delle maglie che contano di meno fra l'altro. Quindi, in soldoni: se l'agricoltore "pioniere" si mette in testa anche solo la sperimentazione di queste cose, troverà un aumento di sostanza organica, un aumento di biodiversità, zero uso di concimi e pesticidi e zero (si, zero) lavorazioni del terreno. ma in definitiva non guadagnerà una cippa perchè saranno tutti ortaggi coltivati in campo e non ti ci ripaghi neanche la manodopera.
il mercato non considera i danni al terreno e quelli alla biodiversità, pertanto sono indici che, all'atto economico, non possono e non devono essere valutati.
come ripeto: è solo questione di tempo, poi, volente o nolente, tutto cambierà.
Continuo a concordare. Ma lo sbaglio, è stavolta lo dico in maniera esplicita, è non riuscire o non voler riuscire a contabilizzare ciò che hai detto. Il gasolio speso per il riscaldamento delle serre non è contabilizzato bene. In realtà secondo me costa ancora troppo poco. Inoltre non sono d'accordo che il gasolio speso per il riscaldamento delle serre debba venire offerto ad un costo minore. Il motivo è assai semplice. Perché non devono pagarlo allo stesso prezzo anche la massaia o il calzolaio che lo usano per scaldare la propria famiglia? Inoltre in una casa in mattoni la trasmittanza è più bassa che in un locale totalmente in vetro per non dire nailon. La spesa maggiore lo paga l'ambiente che vede scaricato un surplus e dunque i nostri futuri figli, nipoti, parenti. Il prodotto quindi dovrebbe costare di più ma siccome l'accisa è bassa costa meno anche il prodotto. Ma questo è un discorso che devono fare i consumatori, e prima di loro, i giovani... mi pare tu ti sia arreso un po’ troppo presto. Io invece non ci sto. E alla coldiretti un po’ incominciano ad infastidirsi quando li tiro su certi discorsi.... La coldiretti è un sindacato e come tale deve fare gli interessi dei soci. Facciamo attenzione che non si tramutino in servi della gleba aiutando esclusivamente i multinazionali-coltivatori. La mia l'ho detta all'ultimo incontro del tutto mele a Saluzzo quando sono stati invitati tutti i produttori a vendere ai mercati rionali. Io non sono d'accordo ( talaltro firmo con nome cognome e luogo ). Il motivo è semplice. Se io produco mele e le vendo alla grande distribuzione, quando il mercato sarà saturo e il prezzo scende basta che io vada ai mercatini rionali e faccia il prezzo superiore al prezzo di vendita dell'ingrosso ma sicuramente moooolto inferiore al prezzo che deve fare il piccolo contadino che vende le sue mele. La risposta è stata: noi non possiamo impedire a nessuno di andare a vendere. Bene! allora io a farti fare la bella figura e a tenere il posto caldo nei periodi di morta non ci vengo proprio, neanche un giorno. Io faccio la clientela per poi farla penetrare da chi c’è la più grosso? Qualcuno ha detto che il grosso non ruba il cliente affezionato. Può darsi. Ma davanti al prodotto identico ad un costo minore magari instaura il tarlo del “ forse il mio fidato coltivatore mi sta infinocchiando?” Perché faccio questo discorso in questo post. Perché questo post parla di agricoltura alternativa. Ma l'agricoltura alternativa parte ( e non passa) proprio dall'atteggiamento che hanno soprattutto i coltivatori rispetto a certe filosofie. Se il mercato rionale vuole aiutare i piccoli produttori allora il grosso non ci deve venire a dettare il prezzo quando ha il surplus produttivo e andarsene lasciando poi i piccoli a fare muro quando non c'è niente da vendere. Il discorso del gasolio è uguale. Io investo in serre e bruciatori e posso vendere quando e dove voglio. Allora vai anche quando c'è da vendere un kilo di patate per volta a 50 centesimi.... Io sono d’accordo e promotore di un prezzo di minima. Oltre quel dato prezzo non puoi scendere. Forse troppo comunista ( nel senso di comune-comunitario-partecipante ad una comunità). In sintesi. A mio avviso il costo economico si può fare eccome. Certo ci vuole coraggio e competenza e bisogna uscire dai soliti programmi televisivi e andare a parlare con la gente e informarsi. Niente di personale ma il futuro l’abbiamo noi nelle mani. Quindi, Io non sono un commerciale ma so calcolare che se continuo a concimare con concimi esclusivamente di sintesi continuo a stressare i microrganismi senza produrne degli altri. E siccome la demografia locale dimostra la cecità del popolo esso non vede e non assoggetta il futuro al presente; la conseguenza è assai palese anche nei coltivatori essendo anch’essi responsabili della stessa demografia. Non c’è lungimiranza e dunque non si comprende che una volta i concimi di sintesi funzionavano perché era alta la S.O. mentre oggi tutto funziona meno perché non ci sono più i collaboratori terricoli. Perché i microrganismi dovrebbero vivere in terreni dove non hanno protezione, troppo caldi o troppo freddi, troppo asciutti o troppo bagnati? Stressati, menefreghisti, superficiali. Ma non lo sono gli stessi agricoltori? A me ha sempre colpito molto il paragone: il cane assomiglia al suo padrone. Non so se ci avete mai notato ma è proprio vero. E allora perché l’ambiente dove vive un certo uomo non dovrebbe assomigliargli? Io collego molto il macro al micro e viceversa e ciò mi aiuta molto sia a capire sia a fare le mie scelte. Chi non ci riesce dovrà prima o poi comprendere cha le lamentela non porta solo a farsi compatire dagli altri. Questo io so calcolarlo. E per me vale molto. Più della differenza del costo del concime con la spanditura manuale e localizzato del letame Ripeto: niente di personale ma non voglio sentir dire che non è possibile. Bisogna solo collegare più cose. Eventualmente, scusate la franchezza
Ciao ragazzi, sono fresco da un fine settimana dedicato a Steiner e la biodinamica, organizzato dai guru di Demeter. il terzo giorno (cioè domenica mattina) sono sbottato, non sono riuscito più a sopportare che un agricoltore possa gestire un'azienda di 100 ettari di seminativo e lavorare il terreno a 50 cm con aratro polivomere trainato da un macchina da 200 cavalli e fare agricoltura biodinamica. L'importante che riesca a dinamizzare l'acqua per il corno letame o corno silice o corno vattellappesca. Ho fatto la figura del pazzo rompicoglioni difronte a una ventina di rappresentanti di aziende medio-piccole ipnotizzate dal sogno di poter vendere i propri prodotti a prezzi sconvolgenti. Ho assistito ad un film già visto negli anni ottanta per il biologico dove si faceva a gara tra i tecnici per affermare la compatibilità delle diverse tecniche agronomiche con la coltivazione biologica, finchè sono arrivati i primi protocolli delle diverse associazioni e infine la legge comunitaria. Alla mia domanda sul perchè non si è mai preso in considerazione il bilancio energetico di un'azienda agricola l'agronomo ha iniziato a barcollare e tra un balbetto e un'altro ha affermato che è allo studio, ma occorre tempo per arrivare alla sua utilità. La validità di una gestione agronomica aziendale deve essere valutata sia dal punto di vista energetico che monetario, senza perdere di vista che il primo è fisiologico all'ambiente naturale, mentre il secondo e strettamente politico. Cordiali saluti e.........a presto.
Perché l’aratura, e più in generale le lavorazioni del terreno, disturba i cicli nutritivi del suolo. Le scoperte di Alan Smith.
Per l’agricoltura sinergica è importante comprendere la microbiologia, la vita del suolo, ossia il complesso meccanismo che permette alle piante di trasformare l’energia solare in energia chimica necessaria per crescere, metabolizzare e riprodursi (fotosintesi clorofilliana). Per questa particolarità, gli organismi vegetali rappresentano uno dei primi anelli della catena alimentare: la base della vita sulla terra.
Tuttavia le piante per crescere e svilupparsi hanno anche bisogno di altri elementi che non sono in grado di produrre direttamente come azoto, fosforo, zolfo, calcio, magnesio, potassio e una lunga serie di oligoelementi. Tutti questi elementi sono presenti nel suolo, ma non sempre in forma solubile, cioè assimilabile per le piante. Per attingere quindi a tali riserve di elementi, le piante hanno bisogno di mobilitarli e averli disponibili in forma solubile.
L’importanza dei residui E qui scopriamo che sotto le piante, nel terreno, esiste un complesso ecosistema che si preoccupa di svolgere questo lavoro, ossia rendere gli elementi nutritivi necessari alle piante in forma assimilabile: è la vita microbica (batteri, funghi, enzimi). In realtà, tra queste piante e microrganismi vi è un intenso interscambi poiché anche le piante, a loro volta, stimolano la proliferazione dei microrganismi del suolo emettendo essudati radicali come carboidrati e zuccheri semplici (energia solare trasformata in energia chimica).
Gli stessi residui secchi dei vegetali, foglie, fusti, radici, rappresentano ulteriore nutrimento per i microrganismi, così come i residui organici di questi ultimi si trasformano in materia prima importante per i vegetali. È così che s’instaura una stretta relazione tra questi due mondi che apparentemente sembrano divisi ed è così che avviene l’autofertilizzazione della Terra. Purtroppo per molti anni, queste osservazioni, così come le analisi dimostrative dei vantaggi dell’agricoltura senza aratura, praticata e consigliata da Masanobu Fukuoka sin dalla fine degli anni trenta, non sono state prese in seria considerazione dall’ambiente accademico istituzionale.
Finché, una ricerca sulla Phithosphora condotta dal microbiologo australiano Alan Smith del dipartimento agricolo del New South Wales, non portò alla luce alcuni fenomeni di gran rilievo sul funzionamento naturale del suolo. Scoperte che spiegano in modo scientifico quella che era stata l’intuizione di Fukuoka e chiariscono i successi delle coltivazioni senza aratura. La Phithosphora è un fungo devastatore che agli inizi degli anni settanta stava paralizzando la coltivazione e la conseguente industria dell’avocado in Australia. A nulla valsero i tentativi con prodotti chimici, il fungo proliferava egualmente.
Durante le sue approfondite ricerche effettuate sulla microbiologia del suolo per meglio conoscere le modalità d’azione del fungo, Smith scoprì il complesso schema di relazioni esistenti tra piante, microrganismi del suolo ed elementi nutritivi. Nei terreni naturali (imperturbati), l’interazione pianta-terreno funziona in maniera sana e controlla efficacemente l’attività microbica, ivi compresa quella degli organismi patogeni, come la Phithosphora, inoltre rende assimilabili gli elementi nutritivi presenti. Nei suoli perturbati da arature, lavori colturali e fertilizzanti con nitrati, si registra invece una profonda alterazione dei processi naturali: il terreno perde non solo la capacità di autofertilizzarsi, ma anche quella di difendersi dagli organismi patogeni (come appunto la Phithosphora), fino ad arrivare nei casi più gravi alla desertificazione. Da qui, la necessità di input esterni sottoforma di concimi organici, concimi chimici, fitofarmaci, ecc.
Il ciclo ossigeno-etilene Uno dei processi più affascinanti della vita microbica del suolo è il ciclo ossigeno-etilene. Spiegare in dettaglio il processo osservato da Smith in poco spazio non è facile (chi è interessato può richiedere gli appunti redatti da Emilia Hazelip), ma lo schema pubblicato a lato può aiutare ad avere una comprensione del fenomeno che potrebbe essere definito il respiro della Terra, in quanto si ripete con un ritmo di circa 20 minuti. Durante la loro vita, le piante cedono al suolo fino al 25% dei composti carboniosi prodotti nelle foglie, sotto forma sia di essudati che di cellule morte. Per la maggior parte, tali sostanze cedute dalla pianta al suolo sono fonte di energia per i microrganismi che proliferano nella rizosfera (è la porzione di suolo prospiciente le radici). Questi microrganismi si moltiplicano così intensamente che consumano l’ossigeno contenuto nei micrositi (cavità nella stratificazione del suolo, dove si sviluppa l’attività microbica) della rizosfera, rendendoli anaerobici (privi di ossigeno).
No ai concimi chimici In seguito, nei micrositi anaerobici si produce etilene, un composto gassoso che è un regolatore essenziale dell’attività dei microrganismi del suolo, influenzando il tasso di turn over della materia organica, il riciclo dei nutrienti delle piante e l’incidenza delle patologie vegetali. Inizialmente i microrganismi proliferano sugli essudati radicali delle piante ed eliminano l’ossigeno dei micrositi della rizosfera. L’etilene viene prodotta all’interno di questi micrositi e diffusa intorno, rendendo inattivi i microrganismi del suolo. Quando si verifica questa condizione, la richiesta d’ossigeno diminuisce, e quindi satura i micrositi bloccando o riducendo fortemente la produzione di etilene: in questo modo i microrganismi possono riprendere la loro attività. Le condizioni favorevoli alla produzione di etilene sono quindi ricreate e il ciclo si ripete.
Nei suoli naturali non lavorati, come quelli delle praterie e delle foreste, l’etilene può essere continuamente rilevata, dimostrando come il ciclo Ossigeno – Etilene si produca efficacemente. Al contrario, la sua concentrazione nei suoli agricoli sottoposti a intense lavorazioni, è in genere estremamente debole o addirittura nulla. E siccome l’etilene ha un ruolo importante sulla popolazione microbica del suolo, quando l’equilibrio dell’ecosistema viene disturbato dalle pratiche agricole o silvicolturali, la situazione cambia radicalmente. La materia organica del suolo diminuisce pericolosamente, i nutrimenti cominciano a scarseggiare e l’incidenza di malattie aumenta. Tentare di stroncare questi processi con l’uso di fertilizzanti e di pesticidi è inefficace perché indebolisce le piante a lungo termine e aumenta a dismisura i costi di produzione.
Una delle principali cause della mancanza di produzione di etilene nei suoli agricoli lavorati (aratura, fresatura) è che tali tecniche provocano un cambiamento della forma dell’azoto. Nei terreni non disturbati, l’azoto è tutto sotto forma di ammonio con tracce di nitrati. Quando questi ecosistemi vengono disturbati con le lavorazioni e le pratiche colturali, tutto l’azoto presente prende forma di nitrati perché tali operazioni stimolano l’attività di batteri specializzati nella conversione dell’ammonio in nitrato e ciò inibisce la produzione di etilene e quindi il lavoro di assimilabilità degli elementi nutritivi.
Per evitare tali inconvenienti e aumentare la produttività del terreno è dunque necessario creare condizioni favorevoli alla produzione di etilene, osservando alcune semplici procedure con le seguenti pratiche:
- Evitare di arare o rimuovere il terreno; - Evitare l’uso di nitrati; - Lasciare al suolo i residui organici non utilizzati (foglie, piante secche, radici), al cui interno, in seguito al processo di decomposizione, si accumula il precursore che permette, con la mobilitazione del ferro, la produzione di etilene.
È davvero strano che nelle grandi aziende agricole intensive australiane, americane e canadesi, vengano applicati con successo sistemi di coltivazione senza lavorazione della terra (enormi trattori viaggiano su «rotaie» pretracciate, in modo che il terreno tra le ruote, molto larghe, rimanga indisturbato e la crosta viene rotta con erpice solo là dove cadrà il seme), mentre nei piccoli orti e nei piccoli campi, il terreno si lavora in maniera esasperata, rivoltando la fetta e rimuovendo in profondità gli strati del terreno. Se la lavorazione minima del terreno diventasse una pratica diffusa i vantaggi per le coltivazioni, la terra, i coltivatori, la salute e la bontà dei prodotti agricoli sarebbero impagabili.
Ciao Pallinof, vorrei conoscere la tua opinione. Voglio piantare un uliveto ed un frutteto entrambi di vecchie varietà. Il terreno però è stato fin'ora lavorato tradizionalmente a cereali. Quasi tutti ci consigliano di fare una lavorazione profonda per rompere la famosa soletta che si è formata con le lavorazioni del terreno prima di trapiantare le piante. Secondo te potremmo evitare questa lavorazione e render il terreno più morbido per la penetrazione delle radici solo cercando di migliorare il terreno partendo dalla superficie (cioè seminando leguminose, e piante dalle lunghe radici, aggiungendo compost, humus e magari lombrichi )?
Ilgattoelavolpe ha scritto:Ciao Pallinof, vorrei conoscere la tua opinione. Voglio piantare un uliveto ed un frutteto entrambi di vecchie varietà. Il terreno però è stato fin'ora lavorato tradizionalmente a cereali. Quasi tutti ci consigliano di fare una lavorazione profonda per rompere la famosa soletta che si è formata con le lavorazioni del terreno prima di trapiantare le piante. Secondo te potremmo evitare questa lavorazione e render il terreno più morbido per la penetrazione delle radici solo cercando di migliorare il terreno partendo dalla superficie (cioè seminando leguminose, e piante dalle lunghe radici, aggiungendo compost, humus e magari lombrichi )?
Ciao, voglio puntualizzare che sono contrario ad impianti intensivi specializzati, quindi il mio consiglio è di impiantare filari di olivi o fruttiferi con viti intervallati da ampi spazi di prato a rotazione con seminativo. La famosa soletta non è un problema insormontabile, invece è molto pericoloso portare in superficie gli strati profondi alterando il lavoro di millenni nella formazione del terreno di coltivazione. Ottima tecnica utilizzare la consociazione di più specie perenni di leguminose e graminacee per ripristinare la fertilità naturale del suolo. Non sono necessarie aggiunte, l'importante è utilizzare la biomassa prodotta dal prato per alcuni anni come pacciamatura di olivi o fruttiferi e vite. Sempre a tua disposizione.