Astrogufo ha scritto:
Trovo alquanto di cattivo gusto il testo riportato sopra ed indegno di un forum come questo e mi sorprende che persone sensibili ai temi della biodiversità e della natura usino termini e frasi degni dei più beceri degli ignoranti.
Forse sarebbe il caso che chi lo ha postato o i moderatori lo epurassero.
Ma porta pazienza cosa vuoi epurare ??????
Quale post ha urtato la tua sensibilità???????
Il problema posto da marcobi è reale: siamo dei moderni briganti, quindi armiamoci di lupara per difendere il nostro campo dalla schizzofrenia europea che da una parte finanzia progetti per il recupero della biodiversità e dall'altra ostacola il piccolo coltivatore e favorisce il grande business.
Contadini di tutto il mondo, unitevi!
di Silvia Bencivelli
Mescola, contadino, mescola! Metti insieme i semi che hai, comprane di nuovi e mescola! Poi piantali tutti insieme e aspetta di vedere che cosa cresce, e lascia così che si selezionino i più forti, quelli capaci di produrre le piante più adatte alle condizioni del tuo campo e di darti le farine più buone per focacce da intenditori. E poi continua a incrociarle, continua a cercare le varietà migliori per il terreno e il clima in cui le coltivi, per le esigenze tue e di chi le vorrà comprare.
Soprattutto non lasciare che a occuparsi di miglioramento genetico siano solo la Monsanto e le sue sorelle, nei loro laboratori lontani da tutti, per imporre sul mercato varietà omogenee, come se a tutti andassero bene le stesse cose. Perché le biotecnologie non sono cattive in sé, anzi: ci danno la possibilità di studiare e capire il risultato delle nostre azioni. E ci permettono di non essere solo vittime del mercato, ma anche di sfruttarlo a nostro beneficio. Quindi, contadini di tutto il mondo, unitevi agli scienziati e piantatela: piantatela di lamentarvi delle storture del capitalismo e provate a farvi furbi selezionando semi rispettosi dell’ambiente e dell’economia locale e soprattutto di ottima qualità.
Un ideale Manifesto della ricerca partecipativa in genetica agraria, a uso e consumo degli agricoltori, probabilmente, comincerebbe così. A scriverlo sarebbe Salvatore Ceccarelli, uno che tutte le volte che lo cerchi al telefono lo trovi, se lo trovi, in Etiopia, in Yemen o, nella più comoda delle ipotesi, in Siria. Uno che risponde al primo colpo soltanto d’estate, quando va in vacanza e allora inverte la rotta e rientra in Italia. Perché Ceccarelli è un ex professore universitario dell’università di Perugia, dove fino al 1987 insegnava genetica agraria, ma da anni lavora all’International Center for Agricultural Research in the Dry Areas (ICARDA ad Aleppo in Siria), e passa gran parte dell’anno a girare il mondo per parlare, da scienziato, agli agricoltori.
I suoi programmi riguardano il miglioramento genetico, che, quando si fa partecipativo esce dai laboratori, sveste il camice per indossare un gilet alla Indiana Jones e si siede per terra, insieme ai contadini della zona, in cerchio sotto a una tenda o davanti a un samovar, per decidere con loro come indirizzare la ricerca. «Per me è stata una scelta di vita: non perché avessi qualcosa da rimproverare all’università italiana, ma solo perché avevo voglia di tradurre in pratica le mie idee scientifiche – ti spiega con un certo candore – e con la ricerca partecipata si vedono i risultati dei tuoi studi con un’immediatezza e una concretezza che il lavoro nei campi sperimentali né tanto meno quello nei laboratori ti possono dare». E poi, continua, si scopre che il mescolamento genetico come lo vai a proporre tu, scienziato occidentale, ai contadini di mezzo mondo, in certe popolazioni è praticato da secoli, tipo in Etiopia del Nord, nella zona del Tigrai. Niente di straordinario, insomma.
Si scopre, però, anche che gli agricoltori sanno tutto sul sesso dei loro animali ma sulla riproduzione delle piante sono molto più carenti. «In genere indico un agnellino e chiedo a voce alta: “qualcuno sa chi siano il padre e la madre di questo agnello?” Ovviamente, c’è sempre chi risponde. Poi tiro fuori un semino e chiedo: “e di questo semino, lo sapete chi sono i genitori?”. Silenzio. Tra l’altro, una volta, Vandana Shiva mi ha invitato nel suo villaggio, e mi sono reso conto che nemmeno lei ha un’idea tanto chiara della riproduzione delle piante…». Quindi niente di straordinario nel mescolare i semi, come si fa in Etiopia, ma molto di straordinario se arriva la scienza a spiegarti come e perché.
Il miglioramento genetico partecipativo di Ceccarelli cominciato nel 1995 è diventato evolutivo nel 2008: «dapprima ho mescolato 1600 tipi di semi di orzo e ne ho fatto qualche sacco, per 160 chili in totale. Poi li ho dati a venti agricoltori di cinque paesi diversi (Algeria, Eritrea, Siria, Giordania e Iran) perché li coltivassero. C’è stato subito un raccolto abbondante, che poi è stato distribuito ad altri agricoltori, e le sementi così selezionate sono state diffuse. Nel 2009 l’ho rifatto col grano duro in Algeria, Marocco, Giordania e Siria. Quest’anno farò la stessa cosa col frumento tenero e stiamo cominciando a pensare di fare la stessa cosa col mais. Non solo: lo sto facendo anche in Iran e sto andando a raccontarlo in giro per l’Italia e nel mondo, agli agricoltori che incontro».
Già, in Iran. Anche là si continuano a scoprire cose nuove, per esempio che l’agricoltura à la Ceccarelli si sposa molto bene con i principi dell’Islam. Lì il suo lavoro è cominciato nel 2006, su invito di una Ong locale che lavora con i contadini di un villaggio 80 chilometri a est di Teheran, in un territorio molto arido. Ma poi ha coinvolto presto anche le autorità, per un altro progetto, in un’altra provincia (quella di Kermanshah, che da sola coltiva mezzo milione di ettari di frumento, e dove, tra parentesi nella parentesi, è nata Doris Lessing). Lì Ceccarelli ha avuto da subito l’appoggio incondizionato del direttore generale della Jihad Agriculture della zona, l’emanazione locale del ministero dell’Agricoltura. E il motivo è che tutti gli elementi del miglioramento genetico partecipativo rientrano nel vivere corretto secondo l’islamismo: «pensa un po’… – racconta sorridendo – E questa cosa mi è stata detta anche da un agricoltore, che dopo una conferenza mi ha avvicinato per invitarmi a cena a casa sua ed espormi il suo dilemma religioso: perché l’Iran ha avuto bisogno di un cristiano per fare queste cose?».
E in Italia? In Italia Ceccarelli ci viene d’estate, appunto, e quest’anno ne ha approfittato per fare un giro tra gli agricoltori di quattro regioni del centro nord, insieme a quelli dell’Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica). «Ho cominciato dalla provincia di Pisa, dove ho conosciuto un gruppo di agricoltori che usa varietà locali tradizionali di frumento e ottiene farine speciali con cui fa pane e pasta. Sono varietà tradizionali, di quelle che l’agricoltura biologica cerca di recuperare, e hanno molto a che fare col mio lavoro. Perché le varietà tradizionali non sono mai pure dal punto di vista genetico, sono tutte un po’ miscugli, e il fatto di poterle usare sui terreni in cui sono nate ne esalta l’adattamento specifico e quindi anche la produttività».
Qui in Europa (ma spesso, in varie forme, anche nei paesi più poveri) il problema è questi semi, dice la legge, non possono essere venduti: «ho conosciuto un agricoltore veneto che coltiva il radicchio trevigiano selezionando ogni anno le sessanta piante migliori, che poi trapianta a parte per farle incrociare liberamente. Solo che non può vendere i suoi semi agli altri, e gli altri usano i semi delle multinazionali delle sementi, che sono tutti uguali e danno quell’orrendo radicchio da supermercato che non sa proprio di nulla».
Certo: dove vai vai, il controllo delle multinazionali è ampio e ramificato ed è difficile sfuggirne. «Vero – insiste Ceccarelli – ma io a tutti, al contadino friulano come a quello etiope, siriano o yemenita, rispondo sempre nello stesso modo: sfruttate il lavoro delle multinazionali, non prendetene solo i lati negativi. Comprate tutti i loro semi (magari non Ogm, così siamo sicuri di avere solo geni di quella specie), coltivateli insieme e poi prendete i migliori. Selezionateli voi! Ognuno nel suo territorio a seconda di quel che ha e di quel che gli serve».
E allora il Manifesto della ricerca partecipativa in genetica agraria, a uso e consumo degli agricoltori, forse si chiuderebbe con un’altra esortazione: «Non bisogna essere tanto diffidenti degli incroci: anche per le piante gli incroci sono normali, come per noi. Nessuno è figlio solo di suo padre, o di sua madre: nessuno ha una genetica pura. E quando gli agricoltori mi parlano di “bloody hybrids” mi viene sempre da pensare che, insomma, anche noi siamo “bloody hybrids”, maledetti incroci, ma non ce ne siamo mai lamentati!».
Articolo pubblicato originariamente su il manifesto/ Alias il 24 luglio 2010