pilusmax
Iscritto il: 05/02/2011, 18:52 Messaggi: 282 Località: genova/fontanigorda
Formazione: CLC
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Ho il massimo rispetto per le formiche, animaletti industriosi, tenaci ed organizzati che popolano il “mio” orto, insieme a tante altre specie di animali grandi e piccoli.
Ho messo fra virgolette la parola “mio” perchè avrei dovuto dire : “l'orto che coltivo io”, il che sarebbe stato più esatto almeno per un paio di ragioni:
Mio non è, non lo è mai stato e non lo sarà mai, infatti me lo hanno “prestato” e devo ringraziare i proprietari per questo. (finchè mi dura).
Ma anche se ne fossi il legale proprietario......... ? Potrei davvero chiamare “mio” un pezzo di terra dove non vivo, dove vado quando voglio o quando posso, a modificare l'ambiente che trovo potando, vangando e inserendo colture non autoctone? E poi ….. poi me ne torno a casa quella si, “mia”, altrove ??
“Mio” potrebbero con più ragione dire le formiche, le vespe, i merli e tutti gli altri animali per i quali quel terreno costituisce l'ambiente dove vivono, l'unico ambiente che hanno e che fornisce loro casa e cibo.
Già, l'intruso sono io, quella è casa loro , che lì hanno da sempre fissa dimora. Io arrivo, con i miei attrezzi e con i miei veleni, butto all'aria la terra, semino quel che mi pare e pretendo di raccogliere il frutto del mio lavoro in barba agli abitanti “autoctoni”.
E se gli “indigeni” si permettono di prendersi una parte del raccolto, forse in risarcimento dei torti subiti, ma sopratutto perchè anche loro , che abitano li, qualcosa devono pur mangiare, mi arrabbio pure ed organizzo “rappresaglie” con veleni e trappole.
Altro che colonialismo e pulizia etnica!!! se mi faccio l'esame di coscienza non posso certo assolvermi, affatto, mi autocondanno da solo, e senza le attenuanti generiche !!. Anzi, con l'aggravante che da tutto ciò non traggo reddito, non ho la scusa che se mangiano loro non mi resta di che vivere e di che mantenere la famiglia , io coltivo per divertimento, e ..... “a me” ….... mi paga l'INPS , sempre (finora e si spera che duri.....) e comunque vadano i raccolti.
Non ho nemmeno l'attenuante (sempre e comunque improponibile) della “guerra giusta” , la mia non è una guerra, non è in gioco la sopravvivenza mia, della mia famiglia, della mia gente, né della mia specie, nessuno ci minaccia a tal punto, il “nemico” si limita a rosicchiarmi frutta, verdura e fiori. Il mio è puro e “gratuito” sterminio di massa , (no, non gratuito, i veleni costano.....)
Se un giorno, speriamo assai lontano, formiche & Co. metteranno su un tribunale sarò certamente sul banco degli accusati, non da solo certamente, ma ci sarò comunque e nel frattempo farò i conti con la mia coscienza, che non è insensibile a tanta infamia , ora però vado a spruzzare l'aficida sulle rose , sul poggiolo di casa, prima che faccia buio.
_________________ pilusmax
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Giasone
Iscritto il: 28/05/2010, 23:41 Messaggi: 484
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Sarebbe auspicabile una convivenza non belligerante. Sarebbe lo stupendo mondo delle favole. Incontri un leone nella savana: ti sbrana. È l’istinto, si dirà. L’uomo va a caccia e prende una beccaccia. È un troglodita, si dirà. Si, ma il galletto che acquisti etichettato all’ipermercato aveva la stessa vita della beccaccia. E le tue melanzane prendono gli afidi esattamente come quelle acquistate. Sono poche le situazioni umane nelle quali sia possibile stare da una parte o dall’altra. Per il resto, la razionalità umana si estrinseca nella ricerca di situazioni di tollerabile compromesso tra ciò che è giusto portare ad effetto e ciò che è giusto non si faccia. Così, non trovo giusto usare il napalm per ammazzare quattro pidocchi sulle mie melanzane, sterminando per questa mia insulsaggine rabbiosa migliaia di api ed altri insetti. Così, non credo sia giusto lasciare ai pidocchi le mie melanzane. Mie melanzane, perché il leone ha artigli e denti per affermarsi, ed io ho il senso del possesso e il diritto per farlo. E dire “mio” potrebbe anche essere espressione d’affetto. Questo lo lasciamo alle singole sensibilità. Saluti.
_________________ Non c'è niente di più terribile di un'ignoranza attiva. Johann Wolfgang Goethe
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