Epidemia Xylella
Scienziati: non abbiamo
la bacchetta magica
di DANIELA PASTORE
GALLIPOLI - «Ottimizzare le informazioni scientifiche internazionali per provare a fermare Xylella fastidiosa». Don at o Boscia, dell'Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr di Bari, sintetizza l'obiettivo del simposio che ha portato ieri a Gallipoli, al capezzale degli ulivi malati, oltre 200 scienziati da tutto il mondo. Posti in piedi nella sala convegni del «Costa Brada», fisionomie variegate, sguardi galvanizzati dalle diapositive su cui, impietose, scorrono le immagini, i dati, le informazioni sulle malefatte del batterio nei vari continenti, illustrate da un susseguirsi di relatori che rappresentano il top mondiale per la conoscenza del batterio. La ricetta definitiva anti Xylella, però, non arriva.
Dan Hopkins, università della Florida, studia da 40 anni il patogeno e gela subito le illusioni della platea: «Non c'è la bacchetta magica per fermarla», annuncia, ribadendo ciò che aveva affermato poco prima il collega americano Alexander Purcell, altro mostro sacro nello studio della fitopatologia. La malattia di Pierce, come è conosciuta in America, ha avuto la meglio su migliaia di ettari di vigneti della California, con danni economici spaventosi. «In 22 anni di sperimentazioni non abbiamo trovato la soluzione definitiva - Hopkins alza le spalle - abbiamo però messo a punto strategie di gestione efficaci per contenere la malattia». E ne elenca alcune: controllo biologico con l'inserimento di ceppi benigni del batterio, identificazione di cultivar più resistenti, eradicazioni, lotta chimica al vettore. «Gli insetticidi non risolvono definitivamente il problema - spiega - ma possono mantenere la malattia su livelli più sostenibili».
La "fastidiosa" viene scandagliata a livello microscopico. Steven Lindow, anche lui da Berkeley, entra nel dettaglio dei geni del patogeno, della sua aggressività. Parla della possibilità di modificare alcuni geni del batterio in modo da ridurre la sua capacità di attaccarsi all'apparato boccale dell'insetto che poi lo trasmette ad altre piante.
La collega brasiliana Alessandra Alves de Souza racconta gli effetti devastanti della malattia che ha colpito gli agrumi nel Sud America, e fa intravedere la speranza di controllare la fitopatologia attraverso un banale mucolitico (n-acetilcisteina) con cui mantenere fluidi i vasi xilematici della pianta.
Tra i vari interventi scientifici torna con insistenza l'idea a cui sembrano legate le speranze di una cura definitiva del problema: piante transgeniche. «Le piante geneticamente modificate, capaci di resistere agli attacchi di batteri fastidiosi come Xylella, sono il futuro», concordano gli studiosi. Una tendenza, ne sono consapevoli, che farà storcere il naso all'opinione pubblica, ma che potrebbe risolvere il problema in modo radicale. «Va però messo in conto che il prezzo di cultivar transgeniche crolla perché alla gente l'ingegneria genetica sugli alimenti non piace», osserva il professor Purcell. Che sugli ulivi del Salento non se la sente di fare una profezia.
«Le variabili in gioco sono tali da rendere difficile qualsiasi previsione. Come in California anche qui in Puglia si dovrà procedere per tentativi, correggendo il tiro di volta in volta. E ci sarà bisogno di tanto denaro per la ricerca, perché sono processi che richiedono tempo, anni». Una cosa è certa: il Salento è diventato un grande laboratorio scientifico mondiale a cui gli studiosi guardano con grande interesse e con l'intima speranza di poter trovare la soluzione per disarmare un batterio che sinora ha dato solo delusioni e grattacapi.
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/ ... a-no762001