Flavio ha scritto:Non so in quale zona della Toscana tu abbia l'oliveto (forse a qualche centinaio di metri s.l.m?) ma combattere la mosca solo con l'aiuto del rame è un pò difficile, come faceva notare Marco77. Se comunque in questi anni non hai avuto problemi, continua così.
Se non vuoi utilizzare molecole ad alto impatto ambientale ti capisco e ti appoggio, anche io le evito; ma oramai, anche per la conduzione biologica dell'oliveto, vi sono altre strategie di lotta. Primo passo essenziale è il monitoraggio, come dice Marco77, attraverso trappole cromotropiche o a feromoni (meglio le prime, in quanto non esiste una stretta correlazione fra maschi e femmine).
Bisogna chiaramente distinguere l'impatto ambientale (che è una cosa) dalla salubrità del prodotto finale, in questo caso le olive o l'olio (che è altra cosa).
Se si parla di impatto ambientale, va precisato che i prodotti a base di rame non hanno affatto un impatto ambientale trascurabile, al contrario sono molto pericolosi tant'è che da sempre se ne parla, in ambito protonormativo, come una categoria di prodotti da limitare o vietare nel futuro.
Il rame è un metallo pesante ed inquinante che si acccumula inesorabilmente specie nei suoli coltivati ad olive e vite, divenendo sempre più pericoloso nel corso degli anni.
Al contrario, rimanendo tra prodotti fungicidi attivi sull'olivo, i triazoli hanno una pericolosità immediata comparabile a quella dei rameici ma impatto ambientale di lungo periodo praticamente inesistente. Sono poi prodotti sistemici, che richiedono irrorazioni più contenute e meno dispersive, ed un numero di interventi ridotto rispetto ai rameici. Tuttavia sono poco usati, poco conosciuti e non ammessi in agricoltura biologica, per questo hanno ingiustamente una cattiva fama, ma questo è solo un problema di ignoranza generalizzata.
Se si passa alla salubrità del prodotto, le cose cambiano ma non in modo ingestibile: il rame rimame molto più pericoloso dei triazoli, ma il residuo di rame può essere facilmente eliminato con un buon lavaggio, mentre il residuo di triazoli non può essere eliminato.
La gestione è comunque possibile: i triazoli si possono utilizzare in inverno/primavera, lasciando ai rameici solo l'ultimo intervento (o gli ultimi due, nelle zone più difficili) a cavallo tra estate ed autunno, in prossimità della raccolta.
Il messaggio è: leviamoci dalla testa che i prodotti rameici siano "a basso impatto ambientale" solo perchè li usavano già i nostri bisnonni, o solo perchè sono ammessi in agricoltura biologica.
Il fatto che certi prodotti siano ammessi in agricoltura biologica non significa che abbiano un impatto ambientale basso, dato che l'agricoltura biologica non segue il metodo scientifico bensì si basa su categorie concettuali di "naturale" (ammesso) e "artificiale" (non ammesso).
Un esempio di altre assurdità dell'agricoltura biologica sono nei fertilizzanti: solfato di potassio ed urea non sono uno meno inquinante dell'altro, e se guardiamo alla filiera produttiva sono entrambi prodotti che derivano dall'attività estrattiva (l'urea deriva dal petrolio attraverso l'ammoniaca, il solfato viene estratto tal quale) che non è rinnovabile, con la sostanziale differenza che mentre la disponibilità di ammoniaca da petrolio è ancora enorme, le riserve di solfato di potassio sono sempre più scarse. L'ammoniaca, inoltre, potrebbe essere prodotta anche sulla base di fonti rinnovabili, solo che attualmente questo non accade perchè è antieconomico dato che la produzione di ammoniaca da petrolio è "trainata" dal consumo di combustibili fossili.
Nonostante tutto questo, l'urea è vietata in agricoltura biologica (perchè è un prodotto "trasformato", e quindi artificiale) mentre il solfato di potassio è ammesso (perchè viene estratto tal quale e quindi è "naturale").
Però l'impatto ambientale peggiore ce l'ha proprio il solfato di potassio.