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FIMA - Federazione Italiana Movimenti Agricoli 
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Annuncio conferenza stampa: crisi dei mercati agricoli e misure di contrasto.

Lunedì 7 ottobre in programma la conferenza stampa della Fima presso la sala Consiliare della Provincia di Matera.

E’ prevista per lunedì 7 Ottobre alle ore 11, presso la Sala Consiliare della Provincia di Matera in Via Ridola 60, la conferenza stampa della Federazione Italiana Movimenti Agricoli FIMA e del Tavolo Verde di Puglia e Basilicata.

La crisi del mercato agricolo in generale e di quello cerealicolo in particolare saranno i temi dell’incontro. I dati che saranno illustrati in occasione della conferenza, dimostrano, i fenomeni in atto nei mercati delle materie prime agricole e i rischi per gli anelli deboli del sistema (agricoltori e consumatori).

Nel corso della conferenza, alla quale saranno presenti i dirigenti della Federazione e quelli del Tavolo Verde di Puglia e Basilicata, il coordinatore FIMA Saverio De Bonis illustrerà tutti i particolari e presenterà alcune iniziative legislative a tutela del mondo agricolo.

Matera, 1 ottobre 2013

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01/10/2013, 14:15
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Pac e Grano duro, Fima: scenario allarmante per le regioni del sud, chiuse 224 mila aziende. Audizione in Comagri.

La XIII Commissione agricoltura della Camera, presieduta dall’ On. Paolo Cova, ha ascoltato l’ 8 ottobre in audizione la Fima, Federazione Italiana Movimenti Agricoli, su Pac e problematiche del grano duro.

Alla presenza di numerosi deputati, è intervenuto il coordinatore nazionale Fima Saverio De Bonis che ha illustrato il parere della Federazione sulla nuova Pac e si è soffermato sugli annosi problemi del grano duro italiano, consegnando due documenti alla Commissione.

“Gli agricoltori – dichiara il coordinatore Fima – vogliono una Pac che premi chi produce e vive di sola agricoltura. Per questo, adesso che l’ Italia deve declinare adeguatamente la riforma in ambito nazionale e le risorse si sono assottigliate, occorre mirare gli aiuti per recuperare la forte perdita di reddito subita dagli agricoltori italiani rispetto ai colleghi europei che ha costretto alla chiusura migliaia di aziende agricole”.

“A tal proposito - aggiunge - sarà decisivo il modo in cui verrà definita la figura dell’ agricoltore attivo e la velocità di erogazione degli aiuti affinché la nuova riforma ci avvicini all’ Europa e non ci separi”.

Sulla vicenda del grano, “per contrastare l’ ennesima speculazione in atto - evidenzia De Bonis - è tempo di attuare il divieto di vendita sottocosto delle materie prime agricole previsto dall’ art 62. La norma c’è ma non si applica”. Inoltre - sottolinea - i regolamenti delle attuali borse merci sono datate di un secolo ed in contrasto con la normativa europea antitrust. Affinché i mercati possano funzionare meglio occorre prima di tutto garantire una buona informazione, la trasparenza e la neutralità dei commissari, attraverso una commissione unica nazionale. E’ pertanto necessario - aggiunge - rivedere l’ intero sistema delle Borse merci nazionali, sempre più maschere di meccanismi di cartello a danno dei produttori e consumatori. Servono, però, regole cogenti di funzionamento emanate dallo Stato, per evitare che le lobby le annacquino, come già accade in altre filiere”.

“Le regioni del Sud – fa notare – una volta erano il granaio dell’ Europa con in testa la Sicilia, Puglia e Basilicata. Oggi, prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a venti anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, oppressione fiscale e stretta creditizia, scarsa tutela sindacale e assenza di controlli sui prodotti alimentari, definiscono un quadro molto grave della situazione agricola del Paese e, in particolare, della cerealicoltura del mezzogiorno. Solo in queste regioni in dieci anni hanno chiuso 224 mila aziende, di cui nessuno parla”.

“Per avere un’ idea della perdita del nostro potere d’ acquisto - spiega De Bonis - all’epoca con 80 qli di grano si poteva comprare un piccolo trattore, oggi si possono comprare solo i pneumatici! I fornai, al contrario, da un quintale di grano duro che costa 25 euro ottengono un quintale di pane da cui ricavano almeno 250 euro al sud! Un valore aggiunto che si decuplica in maniera spropositata grazie agli egoismi della filiera. Basterebbe dividere in tre parti tale valore (1/3 a chi produce la materia prima, 1/3 a chi la trasforma e 1/3 a chi la distribuisce) e agli agricoltori arriverebbero 80 euro a quintale. La filiera così raggiungerebbe velocemente il riequilibrio dei redditi”.

In una piccola regione come la Basilicata, al terzo posto come produttore di grano duro, negli ultimi dieci anni si è quasi dimezzato il numero delle aziende agricole (erano 81.922 nel 2000, sono calate a 51.756 nel 2010 (-26,8%) e si è ridotta la superficie (la Sau è passata da 537.695 ettari nel 2000 a 519.127 ettari nel 2010 (-3,4%).

In Puglia e in Sicilia sono invece aumentate le superfici (Puglia: 1.247.577 ettari nel 2000 e 1.285.289 nel 2010 (+2,9%); Sicilia: 1.279.706 nel 2000 e 1.387.520 nel 2010 (+7,7%), ma sono diminuite le aziende (in Puglia erano 336.694 nel 2000, sono calate a 271.754 nel 2010 (-19,2%); in Sicilia erano 349.036 nel 2000, sono calate a 219.677 nel 2010 (-37%).

“Questo tsunami - evidenzia il coordinatore - che ha distrutto migliaia di aziende e posti di lavoro, in assenza di una politica agricola efficace, si è verificato in regioni che dispongono di un giacimento d’ oro per il Paese rappresentato da un grano che oltre ad essere buono è anche salubre. In alcune regioni, dove è scarsamente valorizzato, potrebbe valere più del petrolio! Con una differenza: il petrolio inquina, il grano buono disintossica!”

Già, perché la battaglia del grano è una battaglia per la vita? Una battaglia che non si vince salvaguardando solo l'uso delle sementi certificate o sospendendo le quotazioni. “Il raccolto 2013 pur proveniente da sementi certificate - dichiara - ha subito un repentino calo delle quotazioni già alla raccolta, mentre oggi addirittura siamo quasi al crollo: 24 euro in Puglia e Basilicata e 22 euro in Sicilia, a fronte di un costo di produzione superiore a 30 euro! Gli agricoltori temono perciò una nuova bolla.“

Questa battaglia, al contrario, si vince con l’ informazione. A distanza di molti mesi dalla raccolta 2013, la produzione italiana di grano duro è, infatti, misteriosa. Secondo l'ultima rilevazione Istat la produzione italiana nel 2013 sarebbe diminuita appena di 1.1270.000 qli, mentre addirittura la superficie a duro è aumentata quasi dell’ 1% grazie a quasi centomila ettari in più del meridione!

Un risultato del tutto differente dai dati divulgati da un noto settimanale specializzato qualche settimana fa che riportava un netto calo di superfici e produzioni di grano duro in Italia 2012 vs 2013 (-17% superfici pari a -220.000 ettari, -11% produzione pari a circa -458.000 t).

“La confusione e l'incertezza - sottolinea De Bonis - sono il terreno ideale per la speculazione. E’ corretto imputare un calo di produzione nel meridione che invece non c’è stato, a fronte di un aumento di 2,7 milioni di quintali? E non evidenziare il calo che si stà registrando nel Centro-Nord per circa 3,9 milioni di quintali? Questo fenomeno occultato potrebbe forse dipendere dalla salubrità del grano ovvero dalla presenza di micotossine e dalla crescente consapevolezza dei consumatori? “

Il dubbio è che qualcuno potrebbe avere interesse a far si che la disponibilità teorica di grano duro buono al Sud appaia ridotta, per giustificare le importazioni, mentre i dati dimostrano che la produzione di qualità cresce e sottrae quote di mercato alla produzione più scadente sotto il profilo sanitario.

E se si è prodotto molto grano duro di qualità in Italia nel 2013 perché ne stiamo importando a manetta dall'estero? Solo una indagine approfondita dell’ antitrust e dell’ antifrode può contrastare la BOLLA SPECULATIVA IN ATTO. Non dimentichiamo che gli industriali sono già stati ‘multati’ una volta dall’ antitrust per aver fatto cartello sui prezzi della pasta!

“In realtà - evidenzia De Bonis - potremmo essere di fronte ad un uso strategico della leva import-export per controllare i prezzi sul mercato nazionale del grano buono attraverso l’ importazione di quello cattivo. L’ alibi è quella della globalizzazione secondo cui l’ Europa può diventare pattumiera delle materie prime che all’ estero non sono commestibili nemmeno per gli animali”.

L’ arrivo in Europa di materie prime di pessima qualità, danneggia la salute pubblica, la bilancia commerciale e avvantaggia solo i profitti dell’ industria di trasformazione, che continua ad affermare strumentalmente che: (i) il grano italiano è insufficiente a soddisfare i nostri fabbisogni e manca la capacità di stoccaggio, nonostante le misure del Piano cerealicolo nazionale; (ii) il grano straniero è migliore perché è un grano di forza (più proteico) che gli agricoltori italiani non riescono a produrre per garantire la tenuta di cottura; (iii) il made in Italy stà nella ricetta e nello stile italiano con cui si fanno le cose!

“I fatti dimostrano il contrario - dichiara il coordinatore Fima - da un lato, gli agricoltori sono scoraggiati a produrre per via di comportamenti illeciti che rendono antieconomica la coltivazione, ragion per cui ci sono tantissimi silos vuoti. Basta solo censirli. Dall’ altro, hanno dimostrato che è possibile produrre pasta con grano locale. Ci sono tanti piccoli pastifici che lavorano solo semole locali e, peraltro, i consumatori stanno imparando a capire se nel pane vi sono micotossine: basta conservare una fetta di pane per quindici giorni e osservare se si formano muffe”.

E allora quali politiche adottare? L’ Italia ha spazio per recuperare 685 mila ettari che abbiamo perso in sette anni ed essere autosufficiente in quantità, qualità e salubrità!

Occorre inoltre intendersi sul significato di made in Italy e stile italiano con cui si fanno le cose, aldilà degli schermi legali e lobbistici. “E’ prioritario il know-how - evidenzia De Bonis - che genera profitto per pochi o la salute pubblica e il bilancio dello Stato a vantaggio di tutti? E la presenza dell’ uomo sul territorio non appartiene forse al costume italiano? Il vero made in Italy non è forse rispetto verso la nostra storia e cultura millenaria della pasta fatta con grani locali sin dagli Etruschi, dai Greci e dai Romani? Non è forse vero che nella “valle dei mulini” in Sicilia, all’ inizio del secondo millennio, si fabbricava una pasta, con grani siciliani, che veniva spedita in tutta l’ area del mediterraneo? O piuttosto appartiene allo stile italiano fare cartello e continuare ad adottare pubblicità ingannevoli a danno dei consumatori italiani, senza aver rispetto nemmeno per la salute dei bambini? Dobbiamo privilegiare la tecnologia che ha esasperato la raffinazione delle semole o tornare alle farine di una volta più integrali?”

La pasta è un simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, un pilastro della nostra alimentazione. “Tuttavia - conclude il coordinatore Fima - se nel mondo un piatto di pasta su quattro è italiano, possibile che ai consumatori italiani non debba essere consentito di poter scegliere, attraverso un marchio, una pasta fatta con il grano di qualità del proprio territorio obbligando in etichetta l’indicazione di origine della materia prima? Perché spacciare per italiana, una pasta la cui materia prima viene dall’ Arizona, dall’ Ontario o dalle Montagne Rocciose o dal territorio francese dei Galli e Celti? Chiunque è libero d’importare, ma quantomeno si vieti di utilizzare i trulli, il tricolore o le donne in abiti tipici con spighe di grano o altre immagini che evocano nella mente dei consumatori la provenienza della materia prima dall’ Italia.”

Per difendere il made in Italy e lo stile italiano autentico che è fatto di valori, la Fima ha consegnato una proposta di legge alla Commissione agricoltura della Camera dei Deputati dal titolo: “Disposizioni per lo sviluppo di grano duro a zero micotossine e di pasta ad alta salubrità prodotta in Italia” con cui si chiede la riduzione dei limiti di micotossine a livello nazionale e l’ adozione di traccianti atossici a livello nazionale e internazionale per le partite di grano che andrebbero destinate ad usi diversi da quello alimentare.

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10/10/2013, 16:09
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Agricoltura: Fima, non illudere i giovani. Audizione al Senato

“L’ agricoltura può rappresentare una grande opportunità per il rilancio del nostro sistema economico, a patto che si faccia un’ operazione verità per non illudere i tanti giovani alla ricerca di lavoro”, lo ha detto Saverio De Bonis, coordinatore della Fima, Federazione italiana movimenti agricoli, illustrando - insieme a Paolo Rubino e Roberto Foschi nel corso di un’ audizione di fronte alla Commissione Agricoltura del Senato, presieduta da Leana Pignedoli - la posizione della Fima sul riordino degli enti strumentali, sul ricambio generazionale e sulla semplificazione.

“Il punto non è quello di regalare la terra demaniale. I giovani - ha aggiunto - oggi sono spaventati dai dati del reddito dell’ agricoltura italiana e molte famiglie di agricoltori ormai scoraggiano i propri figli verso questo mestiere tra i più antichi del mondo. Non sono i mezzi che difettano, ma le regole del gioco di un mercato agricolo opaco, non più libero e governato da potenti lobby che hanno squilibrato la distribuzione del reddito”.

“Il ruolo di Ismea è fondamentale per un’ agricoltura in cui vi è un grosso deficit di informazioni strategiche - ha aggiunto il coordinatore Fima - fornire dati in tempo reale, su produzione, consumi, import-export ed una serie di indicatori di costo medio, significa spuntare gli artigli alla speculazione nei mercati agricoli, che ha soffocato l’ economia del Paese approfittando della crisi generale”.

“E’ giunto, dunque, il momento di dire la verità in agricoltura - ha sottolineato De Bonis - liberando anche risorse necessarie per il mondo agricolo e l’ innovazione attraverso una riduzione degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole. Anziché prelevare risorse dagli agricoltori basta sopprimere enti inutili come Isa, Inran e Agencontrol, ed evitare tutte quelle situazioni di conflitto d’ interesse per cui i controllati sono anche controllori.

“La ricerca del CRA è strategica per la competitività del sistema agricolo nazionale - ha evidenziato Paolo Rubino, dirigente del Tavolo Verde di Puglia e Basilicata, aderente alla Fima - ma se il paese non si dota di una sua politica agricola, attentamente programmata, che dia risposte alle relazioni tra alimentazione e salute, tra agricoltura e difesa del territorio, si rischia di non rispondere a tutte le priorità che possono favorire un ritorno alla terra dando certezze ai consumatori.

“Per quanto riguarda il credito – prosegue De Bonis - è sempre più necessario che Ismea acquisisca sul piano delle prestazioni creditizie e finanziarie un ruolo più incisivo, per favorire l’ accesso alle migliaia di aziende “non più in bonis”, attraverso una deroga alle regole di Basilea che il capo del Governo dovrebbe chiedere a Bruxelles. Questo sarebbe un segnale chiaro a favore dell’ agricoltura”.

“Nel riordino di Agea gli agricoltori vogliono un organismo pagatore rapido, efficiente e trasparente che sappia ridurre i costi e ci avvicini all’ Europa - ha evidenziato Roberto Foschi dirigente del Gruppo Trasversale Agricoltori dell’ Emilia Romagna, aderente alla Fima - diversamente, la funzione di fulcro delle attività a tutela degli interessi finanziari dell’ Unione europea si trasforma in uno svantaggio competitivo che penalizza le imprese italiane sui mercati, aggravandoli di diseconomie esterne”.

“Occorre infine liberalizzare - ha concluso Foschi - i servizi ed evitare di affidare censimenti ad associazioni e Consorzi - come è accaduto nella gestione del regime quote latte - in cui vi siano retrostanti associazioni professionali che, purtroppo, hanno svolto un ruolo di idrovore di sprechi generando un aumento sconsiderato del debito pubblico”.

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21/10/2013, 16:35
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AGRICOLTURA, CREDITO: FIMA, SINORA SOLO PAROLE MAGICHE

“E’ da anni che gli agricoltori sollecitano il governo ad intervenire sugli istituti di credito per favorire l'erogazione di finanziamenti, ma ancora nulla di concreto e' stato fatto in tal senso", afferma Saverio De Bonis coordinatore della Fima, federazione italiana movimenti agricoli. "la crisi del primario si sta aggravando ogni giorno di piu' e gli agricoltori e allevatori che ancora sopravvivono, fanno enormi fatiche per tener fronte ai crescenti costi quotidiani", fa notare il coordinatore. “La parola magica esdebitazione dell’ ex ministro Romano - aggiunge - è stato solo un bluff al pari delle lettere di garanzia diretta, dei fondi di credito e dei cofidi “. “Quante delle 980 mila aziende agricole in difficoltà, di cui 700 mila al sud, sono uscite dallo stato di crisi e insolvenza?”, si chiede il coordinatore. Il Governo si è chiesto che cosa stà succedendo nonostante l’ agricoltura sia un comparto anticiclico?

I dati Ismea, del resto, parlano chiaro. Meno credito, nel secondo trimestre 2013, nelle campagne italiane. I finanziamenti bancari complessivamente erogati al settore primario sono scesi, tra aprile e giugno di quest’anno, a 660,5 milioni di euro, facendo segnare una contrazione del 7,1% rispetto allo stesso periodo del 2012. Rispetto al secondo trimestre 2012 si riduce, in particolare, del 7% il credito di medio termine e del 17,6% quello di lungo periodo, mentre crescono del 29,2% le erogazioni con durata inferiore ai 18 mesi. A fronte della minore propensione a investire, si registra in agricoltura una crescita dei fabbisogni di liquidità per la gestione ordinaria e per interventi di ristrutturazione dei debiti.

"il nostro auspicio – conclude De Bonis - e' che un governo autorevole convochi subito un tavolo per far fronte a questa emergenza ed evitare la chiusura di migliaia di aziende agricole, che comporta abbandono del territorio, aumento delle importazioni, insicurezza alimentare e ingresso di capitali illeciti".

UFFICIO STAMPA FIMA

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07/11/2013, 14:52
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AGRICOLTURA: FIMA, PAPA FRANCESCO LANCI UN APPELLO AL GOVERNO

“Ringraziamo Papa Francesco per aver espresso vicinanza al mondo agricolo e ai giovani che hanno scelto di lavorare la terra, ma ci appelliamo a lui affinché ci sia un buon pastore alla guida del nostro gregge”, lo ha dichiarato Saverio De Bonis, coordinatore della Fima, federazione italiana movimenti agricoli.

“Prima di affidare terre incolte ad altri giovani illudendoli di aver trovato un lavoro - aggiunge - la nostra agricoltura ha bisogno di misure concrete per fare uscire dalla crisi i tanti giovani che hanno già scelto di lavorare la terra e oggi sono indebitati perché i loro redditi non crescono, come in altri Stati europei, ma diminuiscono”.

“Per fare questo il Ministro dovrebbe impegnare il governo sull’accesso al credito, per impedire che ci sia un’ Europa a macchia di leopardo e un’ Italia agricola a due velocità che comporta al centro-sud una vendita sconsiderata di aziende agricole all’ asta, il conseguente ingresso di capitali derivanti da attività illecite e l’ incapacità di spendere i fondi europei per nuovi investimenti”, fa notare il coordinatore.

I dati ufficiali parlano chiaro. ll credito erogato alle aziende agricole del Sud si e' dimezzato negli ultimi cinque anni, passando da 713 milioni di euro nel 2007 a 392 milioni nel 2012: un erosione media annua di undici punti percentuali. Al Centro, nello stesso periodo, il credito è passato da 577 milioni a 261 milioni di euro: un erosione media annua di quindici punti percentuali. Al Nord, nello stesso periodo, il credito è passato da 1.436 milioni a 1.593 milioni di euro: un incremento medio annuo di tre punti percentuali.

“Il credit crunch in agricoltura - spiega De Bonis - ha colpito solo il Centro-Sud, ma il governo non se n’é accorto”. E aggiunge: “Così hanno chiuso migliaia di aziende anche per via del costo del credito che al Sud è quasi doppio rispetto al Nord e per l’ incapacità del governo di mettere in piedi un sistema di riduzione dei rischi di credito attraverso garanzie pubbliche efficienti, come suggerito dall’ Abi”.

“La riduzione del credito, il maggior costo e l’assenza di meccanismi di garanzia efficienti - evidenzia il coordinatore - ha provocato un aumento della concentrazione di vendite all’ asta di aziende agricole nel centro-sud che ha raggiunto il 60% del totale. Oggi, sarebbe interessante scoprire chi sono i nuovi proprietari”.

Infatti, a fronte di un monte debiti di circa 40 miliardi verso il sistema bancario, i palliativi sinora adottati hanno risolto il problema solo per un’ ammontare di 1,7 miliardi (appena il 4% del totale) e tantissime aziende nel mezzogiorno non sono più in bonis: ben 700 mila su 980 mila!

“Le parole del Papa - conclude De Bonis - dovrebbero essere di stimolo verso il governo per aiutare i più deboli, gli indifesi, i poveri di salute, affinché nessuno rimanga indietro. E’ un problema di scelte politiche, non di risorse. Se gli agricoltori scompaiono, sarà molto difficile garantire a tutti gli italiani un’ alimentazione sana e adeguata, così il nostro Paese diventerà più vulnerabile e perderà la sua sovranità alimentare”.

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11/11/2013, 10:59
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Agricoltura, Fima: gli stranieri ci invadono e i sindacati pensano ai tesoretti

Mentre gli invasori stranieri, con l’ aiuto delle loro banche, vanno all’ assalto delle aziende agricole italiane, le nostre organizzazioni sindacali si preoccupano di come spartire il bottino che rimane della bancarotta dell’ agricoltura italiana. Così Saverio De Bonis, coordinatore della Fima, federazione italiana movimenti agricoli.

I dati riferiscono che nel settore agricolo durante gli anni della crisi c’è stato un aumento dell’11% delle aziende agricole passate in mani estere, i terreni agricoli della penisola sono praticamente diventati la “banca della terra” svizzera che con il 16% del totale delle proprietà agricole è la nazionalità più rappresentata tra gli imprenditori agricoli stranieri presenti in Italia. A seguire ci sono i tedeschi (15%), i francesi (8%), i rumeni (5%), i britannici (4%) e i belgi (3%).

“Oggi – aggiunge – oltre 17 mila imprenditori agricoli stranieri operano in Italia, in prevalenza nel centro-sud. La maggioranza delle aziende agricole acquisite dagli stranieri, si trova infatti in Toscana, in Sicilia, nel Lazio, in Campania, in Puglia e Basilicata. Aree del Paese, dove, caso strano, sono maggiormente concentrate le vendite all’ asta, alle quali non sono mai state applicate le norme antiriciclaggio”.

“E’ evidente – fa notare – che le storture del credito e l’ assenza di norme antiriciclaggio, in una Europa incompiuta, hanno facilitato questa operazione non proprio leale sul piano della concorrenza. Se si reca in banca, anche in una banca straniera, un imprenditore italiano del centro-sud, che è pur sempre un imprenditore europeo, non gli danno un centesimo neppure con le garanzie patrimoniali o pubbliche, invece, se l’ imprenditore europeo non è italiano, ottiene i finanziamenti con facilità”.

“E’ un po’ strano – spiega De Bonis – che la nostra agricoltura sia l’unico settore in grado di attirare più stranieri. Cosa si nasconde dietro questa controtendenza rispetto all’andamento generale che vede le imprese fuggire dall’ Italia? Secondo le classifiche europee siamo il paese dove è più difficile creare business insieme alla Grecia e uno dei più ostici al mondo”.

Sorprende che gli investimenti esteri in Italia, a fronte dei noti rischi-paese ed una stagnazione della domanda interna, si dirigano proprio verso le aziende agricole italiane, nonostante le previsioni poco rosee della stessa Commissione Ue sui redditi agricoli futuri. Un investimento è una scommessa a lungo termine su un sistema Paese, e questa scommessa la può fare chi ha capitali (il)leciti a disposizione ed ha competenze per valutare delle alternative. Le condizioni di reddito (pessime) dell’ agricoltura non sono mutate, sono identiche, quel che cambia è evidentemente la prospettiva di un territorio che fa gola…anche a capitali di dubbia provenienza!

“Un indagine parlamentare – aggiunge – nazionale ed europea, dovrebbe approfondire se si tratta di investimenti autentici e come mai le banche italiane hanno chiuso i rubinetti (credit-crunch) nel centro-sud, proprio dove c’è più invasione di stranieri, mentre quelle europee hanno utilizzato la leva del credito per conquistare il Belpaese, nonostante i redditi in agricoltura siano negativi. Ed ancora – evidenzia il coordinatore – sono tutti capitali leciti quelli che affluiscono in agricoltura sotto forma di operatori stranieri o siamo di fronte a delle operazioni finalizzate a mascherare altre operazioni? Siamo proprio sicuri che tutti quegli imprenditori non siano dei prestanome?”

Mentre si assiste a questo triste primato che mette fuori gioco i nostri agricoltori, le organizzazioni sindacali domestiche, che non hanno speso una parola su un credito discriminante, si preoccupano di mettere le mani avanti a quel che rimane dei tesoretti dell’ agricoltura italiana. “In questo momento, infatti, – riferisce il rappresentante della Fima – loro sono distratti dalla bancarotta fraudolenta di Federconsorzi. Il disastro finanziario di un colosso dell’ agrocommerciale italiano e il maggiore scandalo fallimentare della storia italiana, dovuto all’inconsulta moltiplicazione di spese correnti, consulenze e munifiche regalie, che ha sottratto all’ agricoltura italiana magazzini, silos, officine e aziende del valore di oltre seimila miliardi di vecchie lire”.

“Oggi, nonostante la Federconsorzi sia stata sciolta, di quel tesoretto sono rimasti circa 400 milioni di euro e un parlamentare del Pd, Sposetti, – aggiunge – ha presentato un emendamento in commissione Bilancio del Senato volto a recuperare queste risorse per dirottarle verso altri soggetti non meglio definiti, che non sono di certo i consorzi agrari”.

“La reazione dei sindacati non si è fatta attendere – fa notare De Bonis – loro vorrebbero un “riferimento condiviso sull’ utilizzazione di queste risorse”: no a progetti di parte, si a progetti comuni”.

Sembra di essere nel gioco degli Anutrof, dove questi personaggi sono Cacciatori incalliti di tesori! La prima cosa che fa un Anutrof quando incontra un altro avventuriero è squadrarlo.

“Sorge un dubbio sull’ emendamento – conclude – non è che siamo di fronte all’ ennesima marchetta a favore di cacciatori di tesori? Con buona pace dell’ agricoltura italiana!”

http://movimentinrete.wordpress.com/201 ... tesoretti/

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Quote latte, Fima: se i conti sono sbagliati paghino i veri responsabili

Se veramente i conti sono sbagliati vanno bloccati i pignoramenti in corso da parte di Equitalia agli splafonatori e restituiti 2,4 miliardi di euro a tutti gli allevatori che hanno versato multe non dovute e acquistato quote non necessarie. Così Saverio De Bonis, coordinatore Fima, federazione italiana movimenti agricoli.

“Il pasticcio al vaglio della Procura di Roma deve andare sino in fondo - aggiunge - per scoprire i veri responsabili di una situazione intollerabile e mai chiarita”.

“La non corretta quantificazione delle quote latte, che ha cagionato ingenti danni sia ai produttori che allo Stato italiano a causa di sanzioni non dovute, ha una regia mista pubblico-privata”, afferma il coordinatore Fima.

“L’ indagine dei carabinieri del 15 aprile 2010 - fa notare - con cui si denunciavano gli errori di calcolo del sistema quote latte da parte di Sian (sistema informativo agricolo nazionale), Agea e Banca dati nazionale, era nota a tutte le organizzazioni sindacali, il cui lungo silenzio è forse dipeso dal fatto che le stesse erano dentro il circuito societario Sian, con un gigantesco conflitto di interessi”.

Ora, le stesse, si sono svegliate dal torpore e dopo aver bruciato risorse pubbliche per oltre 68 miliardi di vecchie lire in “censimenti fasulli”, minacciano di far restituire le multe non dovute, con altre risorse pubbliche.

“Il principio è corretto - conclude - ma a pagare non può essere solo lo Stato”.

Ufficio Stampa Fima

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20/11/2013, 15:00
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Federconsorzi: Fima, giù le mani dal tesoretto. Più ossigeno all’ agricoltura

“Al Governo servono 347 milioni per abolire l’ Imu sui terreni agricoli e capannoni, servono risorse per finanziare misure di sostegno al credito per migliaia di aziende non più in bonis, servono risorse per ridurre le accise e l’ Iva in agricoltura, serve ridare reddito alle aziende agricole, ma le risorse non si trovano perché la coperta è troppo corta. Anzi, sull’ agricoltura rischia di abbattersi una scure del governo”. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, coordinatore Fima, federazione italiana movimenti agricoli.

“A fronte di queste emergenze - aggiunge - il ministro Saccomanni ha affermato che, per non alzare le tasse, servirebbero 2,4 miliardi di euro. E allora che cosa dobbiamo aspettare per vendere il patrimonio confiscato alla mafia, il cui valore si aggira intorno a 80 miliardi? Perché la De Girolamo non suggerisce di utilizzare i 2 miliardi in titoli di Stato confiscati alla mafia per aiutare le aziende agricole, al fine di evitare che i forconi blocchino il Paese?”

Invece, come se non bastasse, dobbiamo assistere al balletto degli emendamenti tra uomini della finanza, che fanno finta di occuparsi di agricoltura, abusando della pazienza degli agricoltori.

Dopo il ritiro dell’ emendamento del senatore del Pd Sposetti (ex tesoriere Pci e conoscitore della vicenda Federconsorzi), teso a recuperare i crediti di Federconsorzi, è arrivato in soccorso un emendamento governativo da parte del senatore del Pdl D’Alì (il banchiere processato per non aver aiutato la mafia). Diversa la forma dei due emendamenti, ma identica la sostanza: trasferire di colpo in poche mani un tesoretto di 400 milioni di euro!

“Gli agricoltori - conclude - dicono basta al singolare ping pong tra tesorieri e banchieri, a cui stiamo assistendo in questi giorni mentre il paese soffre, e si appellano al governo, al Ministro Saccomanni, al Ministro delle politiche agricole De Girolamo e a tutte le forze parlamentari affinché risorse finanziarie così importanti, comprese quelle confiscate alla mafia, siano utilizzate per dare ossigeno all’intero comparto agricolo, che ne ha disperato bisogno per agganciare la ripresa”.

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21/11/2013, 16:24
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Dopo le audizioni al Parlamento italiano, la Fima, federazione italiana movimenti agricoli, lancia un appello ai membri del parlamento europeo per informarli "sulla necessità di mettere mano alla riforma della normativa che disciplina i tenori di micotossine sul grano duro e sui derivati a base di cereali" che rappresentano il pilastro della nostra alimentazione. L'attuale regolamento và rivisto ed è opportuno che la commissione agricoltura e salute se ne facciano carico. Così Saverio De Bonis, coordinatore della Fima.

"Esortiamo gli europarlamentari - sostiene la federazione dei movimenti agricoli - in particolare il presidente De Castro, che conosce bene la questione da diversi anni, a non lasciare che prevalgano gli interessi commerciali sulla salute pubblica”.

“Il grano estero – aggiunge il coordinatore - è inadatto perfino al consumo animale nei Paesi di provenienza. E' pieno di micotossine, dovute all' eccesso di umidità dei climi nei quali viene coltivato e raccolto. Dovrebbe andare al macero ed invece finisce qui in Italia dove viceversa il grano prodotto localmente è di qualità eccellente ed esente da micotossine”.

"L' offensiva lobbistica da parte dell'industria molitoria e pastaia", avverte la Fima "è dovuta al fatto che il grano estero ammuffito costa meno e consente di abbassare il prezzo di mercato del grano sano nazionale, con cui viene tagliato. Questo permette loro di fare profitti molto più elevati, rovinando la salute dei bambini e provocando un aumento delle intolleranze alimentari".

E' questa la ragione che spiega la perdita di potere di acquisto da parte degli agricoltori italiani. “Ma così - prosegue - gli agricoltori chiudono, il Paese perde la sua sovranità alimentare e i consumatori si ammalano senza conoscere le ragioni”.

Adesso basta - conclude il portavoce della Fima - il diritto al profitto deve finire dove comincia il diritto alla salute e alla sovranità alimentare.

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27/11/2013, 15:32
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Fima nel cuore dei giorni? I media religiosi aprono una crepa nella diga della disinformazione

Quando sono uscito dagli studi televisivi di TV2000, confesso di aver avuto un moto di stupore. Così Saverio De Bonis, coordinatore della Fima, ferazione italiana movimenti agricoli. Per due ragioni. Un istituzione secolare come la Chiesa ha accettato di dare ascolto alla voce di chi soffre in agricoltura, e sono in tanti, come hanno dimostrato anche le telefonate giunte in trasmissione da tutta Italia. La comprensibile disponibilità dell’ abile e simpatica conduttrice Lucia Ascione a fare da cassa di risonanza al nostro racconto dei fatti, non ha trovato però sponda negli interlocutori della Coldiretti, ancorati da tempo alle loro posizioni. Il secondo motivo è presto spiegato. Di fronte alla enorme diga della disinformazione - quella che ritiene che vada tutto bene in agricoltura, che l’ export (dell’ industria alimentare) è florido, che l’ occupazione è in crescita, che l’ iscrizione alle facoltà di agraria è in aumento, che basta l’ennesima manifestazione di folclore al Brennero per distrarre l’ opinione pubblica, che Campagna Amica è la ricetta miracolosa per vendere i prodotti ortofrutticoli, che i terreni incolti possono essere la valvola di sfogo per i nostri giovani - forse per la prima volta si è aperta una crepa a favore della verità. Una verità che sinora le organizzazioni sindacali agricole hanno quasi sempre nascosto in Italia, colpevolmente, anche alle istituzioni ecclesiastiche. E si sa, mentire, per un cristiano non è umano, è peccato. Non il mentire in sé, ma il mentire a danno di qualcuno, di chi è più debole e indifeso. Di chi non ha finanziarie dietro le spalle per lenire i dolori. Di chi non ha nessuno a cui rivolgersi se viene invaso da prodotti stranieri. Insomma, di chi non ha voce. Anche rubare non è umano, come dimostrano i cartelli e gli abusi in agricoltura.

In agricoltura, così, non c’è più reddito, l’ Unione europea ha disatteso l’ attenzione al reddito per le popolazioni rurali sancita dal Trattato di Roma. Risultato? Una larga parte dell’ Italia soffre nel silenzio mediatico, il territorio muore, il Paese perde progressivamente la sua sovranità alimentare e la gente mangia sempre più cibi di dubbia provenienza. Settecentomila aziende non sono più in bonis su 960 mila! Oltre a quasi un milione di partite iva agricole che hanno chiuso negli ultimi dieci anni e sono senza lavoro. Con una differenza rispetto alla difficoltà che stà attraversando l’ intero paese. La crisi dell’ agricoltura viene da lontano poiché il potere di acquisto dei produttori si è perso nel tempo. Da lungo tempo. Ma la nostra classe dirigente non se ne è accorta. Svariate le ragioni che sono state illustrate durante il dibattito, al quale, peccato, mancava il Ministro De Girolamo, grande assente dell’ evento televisivo, da cui avremmo voluto qualche risposta! Ma siamo certi non mancherà i prossimi appuntamenti.

Speriamo solo che all’ informazione dei media religiosi, non faccia seguito la soggezione di quelli laici.

Il tempo è scaduto, è ora di cambiare registro, guardando per terra all’ economia reale. Lo impone la crisi. Altrimenti prevarranno i forconi.

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04/12/2013, 18:20
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