GENOMICA, EXPORT DEL KNOW HOW E REGIONALIZZAZIONE
COSI’ AIA CONRASTA LA CRISI E I TAGLI DI FONDI PUBBLICI
Una nuova stagione per l’Associazione italiana allevatori. Importanti iniziative in programma a Fieragricola di Verona, con un intero padiglione adibito a mostre zootecniche, esposizioni di animali da reddito Italialleva, convegni dedicati al settore. E sulla fine del regime delle quote latte, le previsioni di Aia non nascondono l’incertezza per i piccoli produttori.
Verona, 12 gennaio 2012. Prospettive positive, tutto sommato, per la zootecnia pesante per il 2012. Un po’ più complesso, invece, il momento dell’Associazione italiana allevatori. La riduzione delle risorse pubbliche, infatti, preoccupa il presidente di Aia, Nino Andena, che parla della situazione e delle iniziative dell’ente morale in questa intervista con l’Ufficio stampa di Fieragricola, rassegna internazionale dell’agricoltura, in programma a Veronafiere dal 2 al 5 febbraio 2012 (
www.fieragricola.it). L’Associazione italiana allevatori è un partner consolidato di Fieragricola e animerà il padiglione 9, con l’esposizione degli animali da reddito delle razze italiane, con le iniziative Italialleva, con le mostre nazionali ed internazionali e con convegni mirati alla gestione dell’allevamento.
Presidente Andena, innanzitutto la questione finanziamenti dallo Stato e dalle Regioni. Qual è lo stato dell’arte e come si evolverà la situazione?
«La situazione per il sistema allevatori non è facile e le erogazioni a favore delle nostre associate sono largamente inferiori alle esigenze del territorio per poter continuare ad erogare i servizi che in questi anni sono stati garantiti agli allevatori.
In risposta a questa situazione Aia ha messo in atto un profondo piano di ristrutturazione che sta portando in tutta Italia alla regionalizzazione, con la conseguente fusione delle associazioni provinciali allevatori in strutture uniche a livello regionale. Una scelta che porterà ad un contenimento della spesa, ma che da sola non basterà a risolvere il problema legato alla riduzione dei finanziamenti.
Il rischio è che i risultati a cui Aia, su mandato del ministero delle Politiche agricole, ha ottenuto in questi ultimi 60 anni vengano vanificati, con un conseguente calo della competitività per la stalle italiane».
La proposta di riforma della Pac sembra avere un impatto negativo sulla zootecnia. Quali correttivi propone l’Aia e quali dovranno essere le linee ispiratrici della Pac per il comparto dell’allevamento?
«Riprendo il tema della competitività perché non possiamo pensare ad una Pac che non sia in grado di promuovere la competitività dell’agricoltura europea. Non ci preoccupano il greening e le altre misure “verdi” di cui si sta tanto parlando in questi mesi, perché gli allevatori sono pronti a fare la loro parte, come sempre è stato, ma non possiamo pensare ad una Pac tutta giocata sul secondo pilastro, che dimentichi le esigenze produttive di un settore chiave nell’economia del Vecchio continente».
Il numero di aziende zootecniche, è in forte diminuzione. Quali saranno i trend dei prossimi anni? Quali saranno le sfide da affrontare?
«I dati del censimento parlano chiaro: calano le stalle, ma cresce la loro grandezza. Per cui maggiore efficienza e l’esigenza di avere servizi di assistenza tecnica sempre più qualificati, una richiesta che oggi si scontra con il taglio dei finanziamenti al settore. Senza dimenticare che non esistono solo le grandi stalle della pianura, ma che buona parte della zootecnia nazionale opera in aree marginali e di montagna. Una realtà che non può essere dimenticata perché ha un forte impatto positivo a livello di presidio territoriale ed ambientale. La sfida vera è quella di garantire il giusto equilibrio a tutte le diverse anime della nostra zootecnia, senza deroghe, ma assicurando l’adeguata remunerazione agli allevatori. Lo ripeto, non ci spaventa la competizione, ma non possiamo essere competitivi con un quadro normativo alieno alle esigenze del settore».
Come sta andando l’esperienza Italialleva?
«È una delle risposte che abbiamo dato per consentire ai nostri produttori di vedere giustamente valorizzato il latte e la carne 100% origine italiana che escono dagli allevamenti iscritti all’Aia. La risposta del mercato è stata positiva e stanno crescendo le referenze a marchio Italialleva, ma dobbiamo spingere ancora in questa direzione anche se non sempre l’industria di trasformazione ha i nostri stessi obiettivi. Molto difficile è infatti dare le migliori garanzie ai consumatori e al contempo venire incontro al loro reale potere d’acquisto, soprattutto in un momento congiunturale di profonda crisi economica generalizzata».
Quali sono le iniziative di Aia all’estero?
«Il know how e le conoscenze tecniche maturate dal sistema allevatori non possono e non devono restare patrimonio italiano, ma occorre che diventino una risorsa per i Paesi in via di sviluppo. Ecco perché abbiamo appena siglato un accordo con il Governo del Mali per dar vita ad una serie di iniziative nel settore della produzione di latte e di carne. Una strada che ci ha portato in varie località dell’Africa, dall’Eritrea alla Costa d’Avorio, dall’Uganda alla Tunisia, e che ha parallelamente permesso a decine di tecnici dei Paesi africani interessati a venire in Italia per stage formativi. Nella concretezza del nostro essere allevatori».
Quali saranno i nuovi progetti di Aia?
«La genomica è il grande fronte sul quale stiamo investendo grandi energie. Si tratta di un nuovo approccio alla selezione, basato sull’analisi del Dna dei potenziali riproduttori. Da poche settimane sono usciti i primi indici genomici dei tori italiani e le prospettive per il futuro sono molto promettenti».
Il benessere animale. Quanto incide sui costi di produzione e dove la zootecnia deve migliorare? Troppo spesso, ci sembra, che i media accusino gli allevatori italiani con superficialità.
«C’è un problema di comunicazione fra mondo degli allevatori e media, anche perché in Italia abbiamo standard di benessere animale fra i più alti al mondo e quindi dispiace quando gli errori di un singolo si ripercuotono su tutti. L’importante però è che le regole sul benessere animale vengano applicate in tutta la Ue allo stesso modo e con lo stesso rigore, altrimenti corriamo il rischio di essere svantaggiati rispetto ad altri partner più “disinvolti”. Ma la strada è questa e gli allevatori sono pronti a fare la loro parte, anche perché il benessere animale migliora la qualità del sistema di allevamento con vantaggi per tutta la filiera».
L’abolizione delle quote latte dal 1° aprile 2015, cosa cambierà, concretamente? Come sarà la stalla da latte del futuro?
«Gli economisti e gli esperti di Bruxelles ne hanno discusso talmente tanto da lasciare poco spazio alle opinioni. Di certo per un Paese come l’Italia il passaggio ad un mercato senza quote non sarà ininfluente, specialmente per i piccoli produttori e occorrerà trovare meccanismi che li sostengano concretamente in questo momento. Sulle formule concrete penso che nemmeno la Ue abbia le idee troppo chiare, aldilà degli annunci ed è per questo che faremo sentire la nostra voce, insieme alle organizzazioni professionali per fare “dell’atterraggio morbido” uno strumento efficace per tutti i nostri allevatori».
Comunicato Stampa del Servizio Stampa Veronafiere