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....mettiamoci un pizzico di poesia! 
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caro gianni il tuoracconto ha tutti i requisiti di rimanere nella <<cristalleria>> e stai tranquillo che non hai assolutamente rotto nulla.

ti auguro un buon proseguimento di feste

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LA DONNA MAGRA PIACE ALL' UOMO SENZA .....DENTI!!!

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26/12/2009, 9:37
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Sez. Cavalli
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Grazie Dommi, Poggioallorso e Mantovano46!

Così, per gioco, metto un altro piccolo racconto, una storia "quasi" vera. E' una storia legata al nevone che a febbraio del 2005 sommerse le Marche per tutto il mese...

FARFALLA


Era stato un lungo inverno quell’anno. Lungo e freddo come non si ricordava a memoria d’uomo.
Era l’argomento principale tra i cavallari nel bar di Rita, il K2. E tra un ammezzato e l’altro si raccontavano vecchie storie seduti intorno ai tavoli quadrati del locale, mangiando pane e mortadella, il tutto annaffiato da un buon bicchiere di vino mentre il fuoco acceso scoppiettava riscaldando il locale che aveva annesso il forno di panificazione di Rita.

Per ammazzare il tempo in quelle noiose e fredde giornate di fine inverno si raccontavano vecchie storie. Leo, per esempio, raccontava di quella volta che aveva portato l’imbasciata a portar giù legna in quel posto senz’acqua, tanto che non si era lavato per una settimana. Ed altre storie, ognuno la sua.

Leo era un uomo grande e grosso, con lo sguardo dritto di chi ha le idee chiare e la coscienza serena. Faceva il boscaiolo, mestiere antico ma ancora attuale in quelle zone.
Era felice Leo, spesso diceva che non avrebbe desiderato fare altro lavoro che stare tra i suoi monti con i suoi muli. Ed io stesso l’avevo sentito tante volte durante i miei giri a cavallo, cantare allegramente mentre saliva le chine del Catria a cavalcioni del basto del primo mulo dell’imbasciata.

Per certi versi sembrava un paese incantato, come se il tempo si fosse fermato a tanti anni fa.

Ma quell’inverno era stato veramente duro. Ai primi di marzo la cima del Catria era ancora bella bianca, ben coperta di neve. E anche giù in paese, nei punti più nascosti al sole, la neve sporca ma ancora persistente testimoniava la durezza di quell’inverno.

Così duro che avevano dovuto portare il fieno ai cavalli al pascolo sul Catria con l’elicottero, e molti di loro non ce l’avevano fatta. I corpi di molti erano stati trovati allo sciogliere delle nevi e gli allevatori facevano il conto delle perdite.

Zi Fulvio se ne stava in disparte accanto al fuoco, negli ultimi tempi più silenzioso del solito. Era preoccupato e pensieroso. Farfalla non si trovava. L’aveva rimandata sul monte in ottobre dopo la fiera e da allora non l’aveva più rivista. Non era nel branco delle cavalle dove portava il fieno l’elicottero e non l’avevano trovata ne viva ne morta durante i primi giri in quota man mano che la neve scioglieva.

Zi Fulvio aveva accompagnato Fausto con la sua Jeep nei primi giri sul monte nella speranza di ritrovare Farfalla, ma non c’era stato niente da fare: non l’avevano trovata. Ne viva, ne morta in verità. E questo lasciva una debole speranza. E come il cuore gli si apriva alla speranza, subito il volto di Zi Fulvio s’incupiva: come poteva essere sopravvissuta a tanta neve se non era nella zona dove andava l’elicottero? No , era sicuramente morta. E pensava che avrebbero ritrovato il corpo una volta che fossero riusciti ad arrivare in cima al monte.

Farfalla, era una cavallina baia con bei ciuffi neri ai nodelli, una coda e una criniera con crini grossi, belli e folti e con gambe dritte e forti, il collo lungo e la groppa possente e la bella testa dritta ed espressiva. Ma a conquistarti erano gli occhi. Ti guardava e capivi che lei ti capiva e sapeva per cosa eri andato da lei. Osservava tutto di chi si avvicinava: le mani per vedere cosa portavano, gli occhi per capire se eri calmo, e soprattutto era dolcissima quando mordicchiava delicatamente il giubbetto di Zi Fulvio quasi fossero delicati baci d’amore. E gli aveva preso il cuore a Zi Fulvio. Nella sua vita aveva allevato e venduto tanti cavalli e muli ma nessuno mai lo aveva preso come Farfalla. E non voleva dirlo, non era uso amare una cavalla, al più la buona fattrice, la brava bestia laboriosa veniva premiata con una ciotola di biada in più, ma nient’altro: nulla che avesse a che fare con un sentimento.
E tale era invece quello che Zi Fulvio provava per Farfalla, un sentimento. Quasi come per una persona. E non voleva mostrarlo. E così era taciturno, non parlava, non rispondeva mostrando così, inconsapevolmente proprio lo stato d’animo che voleva celare.
Si incolpava di averla mandata sul monte al fare dell’inverno, si arrovellava, non doveva si diceva, in quello stato poi…
Si perché Farfalla all’inizio della primavera era stata presentata a Moro che dapprima l’aveva mordicchiata delicatamente su un fianco, poi le era andato vicino al muso quasi dolcemente e quindi l’aveva montata, con foga, con passione, per la gioia dei presenti: di Zi Fulvio, del padrone di Moro e Francesca, innamorata dei cavalli, e di Farfalla e di Moro in particolare. Ma innamorata di tutti i cavalli con gli occhi buoni. Era lei che aveva convinto Zi Fulvio a fare quell’accoppiamento. Non aveva dovuto faticare molto a convincere Zi Fulvio per la verità. Moro era un bello stallone baio molto bravo nel lavoro: si esibiva senza redini con la sola guida del corpo del suo cavaliere e questo affascinava Zi Fulvio che aveva sempre montato a pelo e con la capezza: una tirata al muso della povera bestia e via, e adesso vedere quello stallone imponente lavorare sereno senza nessuna imboccature ne corda ne costrizione, in mezzo alle femmine, spesso in calore, lo affascinava e sognava un puledro che mettesse insieme le buone qualità dei due riproduttori.
“Abbiamo creato il vincitore della fiera tra due anni” disse Francesca quando Moro scese ansimante dalla groppa di Farfalla.
E adesso farfalla non si trovava, era sparita sul Catria. Certamente morta.
Francesca era una bella ragazza mora. Dalla carnagione ambrata che tradiva le sue origini, un po’ calabresi e un po’ andaluse, con una bisnonna spagnola. E il mescolare di quei sangui l’aveva fatta statutaria nelle forme, affascinante nel viso dai tratti decisi eppure dolcissimi risaltati dai capelli corvini portati sciolti. E le spalle piene e la schiena dritta e sicura facevano da cornice alla vita stretta ed ai fianchi larghi che scendevano verso le cosce tornite con forme decise e rotonde. Forme che risaltavano meravigliosamente quando cavalcava sollevata sulla sella leggermente piegata in avanti sul collo del cavallo per facilitarne il movimento. Era bella Francesca. E si innamorava dei cavalli. Come non avevo mai visto fare. E lo sguardo con cui interrogava Zi Fulvio ogni volta che lo incontrava da Rita era più chiaro di mille parole. E ogni volta Zi Fulvio abbassava lo sguardo, quasi pudico per aver mandato Farfalla sul monte in quello stato, si che Francesca l’aveva ben detto di non farlo. E allora gli occhi di Francesca si riempivano di lacrime e usciva in fretta senza salutare. Il dolore per la morte di una cavalla cui era affezionata l’aveva già provato, e la prospettiva di provarlo ancora l’angosciava.
Allora andava alla stazione di monta, abbracciava Moro sul collo mentre calde lacrime le solcavano la bella faccia triste bagnando le labbra turgide che tremavano nel pianto silenzioso.

Intanto il tempo passava, le giornate si allungavano e i rivoli d’acqua formati dalla neve che si scioglieva diventavano meno veloci e meno rumorosi, l’erba tingeva i prati dei pascoli di un verde smeraldo molto intenso mentre i fiori gialli e le margherite formavano chiazze di colore sulle quali svolgevano la loro breve vita le farfalle e volavano le api in cerca di nettare. Erano già passate le viole e le primule, e con i primi soli la valle si riempiva di nuovi, brevi, piccoli nitriti. Nascevano i puledri di quell’anno e l’aria si riempiva di suoni e di odori che gli stalloni giù alla stazione di monta percepivano netti, come un chiaro segnale dell’imminente stagione degli amori. I puledri saltellavano intorno alle madri tra una poppata e l’altra e gli allevatori descrivevano i propri come i più belli dell’annata.
La neve era ormai sciolta anche in cima al Catria ed era ormai praticabile il passo che portava dall’altra parte del monte, così una mattina, mentre ero a prendere il caffè da Rita e Zi Fulvio, come al solito, se ne stava in disparte da solo, Fausto gli disse:
“Fulvio, gim a vede su la croce c’ha sciolt ormai?”
Zi Fulvio assenti, quasi dispiaciuto, come cosciente che avrebbero trovato il corpo della sua Farfalla perdendo così anche l’ultima speranza.
Mi aggregai di buon grado alla compagnia e partimmo con la jeep di Fausto.
Mi piaceva la jeep di Fausto. Sapeva di vero con quel suo binocolo per vedere le punte dei cavalli al pascolo sul Catria e la borraccia col the per dissetarsi. Sapeva di vita vissuta con i cavalli. Non come gli eleganti suv che si vedevano la domenica giù in maneggio.
Fausto era il più grosso allevatore di cavalli Catria del paese, aveva circa un centinaio di capi sparsi sul monte, e li curava da solo. Magari era un po’ brusco nei modi ma le bestie erano tante e il tempo poco, che faceva anche un altro lavoro. E comunque era quello che cercava di selezionare una linea da sella, a differenza degli altri che vendevano i puledri anche ai commercianti per il macello.
E così andammo su mentre Fausto parlava tessendo le lodi dei suoi nuovi nati: “allora Giannì? Cò m dichi? Vdessi che puledri che m’en nati st’anno. Vdessi l fijo d’la Serena, che robba ch’è, e quel d’la Debora sa Rombo…”
Io ascoltavo e mi perdevo in quei racconti, in quegli incroci, generazioni di stalloni e di fattrici che mi passavano davanti agli occhi, e amavo sempre più quella razza di cavalli che sapevano sopravvivere ai lupi, alla neve, ai tafani grandi come elicotteri, alla siccità dell’estate, ai loro stessi padroni che li lasciavano sempre al pascolo. Un pascolo arido d’estate, freddo d’inverno e comunque sempre ostile. Dove probabilmente solo i Catria sapevano sopravvivere. E addirittura proliferare.
Ma Farfalla non c’era. Ancora una volta ne viva ne morta. Arrivati in cima scendemmo nella zona dove Fausto pensava avremmo trovato il corpo della cavalla, ma per quanto girassimo Farfalla non c’era. Ne viva ne morta.
Zi Fulvio riprese colore e parlò di nuovo: “gim giù- disse –ve pagh da be da la Rita”, sembrava sollevato.
Chissà che sperava quel vecchio cavallaro pazzo e testardo, che Farfalla fosse sfuggita al gelo dell’inverno? E allora dov’era? Perché non era scesa con le altre bestie? No, pensai, non può essere. Ma il vecchio nel sedile dietro sembrava quasi sollevato. Vecchio ostinato, pensai: non si rassegna neanche davanti all’evidenza!

Passò la primavera, quell’anno vari problemi mi tennero per parecchio tempo lontano dai miei amati cavalli del Catria.
Quando tornai in maneggio a inizio estate andai a vedere i puledri nati in primavera, già cresciuti e vispi.
Con mia grande sorpresa vidi una bella faccia venirmi incontro, era Farfalla, e non era sola ma al suo fianco saltellava con aria curiosa e saputa una puledrina baia dalle belle forme tondeggianti.
Mi raccontarono che chissà come e chissà perché, e chissà in quale misterioso punto del monte, ma sta di fatto che un misterioso Dio dei cavalli doveva aver posto la sua mano a protezione della cavalla per tutto l’inverno, e oltre, visto che era tornata una bella mattina verso la fine di maggio con l’aria tranquilla e il pelo fino di chi non ha patito la fame, e soprattutto con la bella puledrina al fianco.
E mi dissero di Zi Fulvio che passava e ripassava le sue manone rozze sul collo della cavalla in una lunga e appassionata carezza mentre lei gli mordicchiava delicatamente il lembo della camicia.
E di Francesca che baciata la cavalla corse da Moro, lo abbracciò sul collo mentre una lacrima le solcava le gote per fermarsi sulle belle labbra turgide baciate dal sole di inizio estate.


Fine

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26/12/2009, 10:49
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BELLISSIMO RACCONTO...
BRAVISSIMO !

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si sta come d'autunno sugli alberi le foglie ( UNGARETTI)


26/12/2009, 10:55
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Il racconto di Gianni è come una quadro da attaccare vicino al vecchio camino...
E quanta fortuna ha avuto il passerotto di Bianca per aver ricevuto le sue amorevoli attenzioni che lo hanno aiutato ad affrontare quell'ultimo "volo"... forse per raggiungere nuvole ben più alte...
Sono cose che fanno bene all'anima !
Ciao ragazzi !
Domenico

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...quando il silenzio incontrò il rumore, lo ripudiò immediatamente perchè non era "musica"...
Domenico


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Grazie Gianni il tuo racconto mi è piaciuto proprio tanto è bello iniziare la giornata con una bella lettura continua!!!!!!! ciao nadia48.


26/12/2009, 11:25
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ragazzi alla cortese attenzione di chi vorrebbe eliminare determinati argomenti da miscellanea, E' VERO SI PARLA DI CAVALLI, ma anche in haidi, ci sono le caprette che ti fan ciao, ma non ditemi che sono attinenti all'agricoltura :!: :!: ma chi trova che i racconti di gianni (oltre tutto moderatore del forum) non dovrebbero essere postati si prepari a << duellare >> con me e con molti altri.

gianni ha appena scoperto questo topic, e vi partecipa in modo molto attivo e molto intelligente, oltre che piacevole per noi, questo significa che la gente ha voglia di chiacchierare, proprio come facevano al bar con pane,mortadella, ed un buon bicchiere di vino innanzi al camino acceso, ed il bello è che vi sono giovani,anziani,uomini,donne, professori, dottori,periti,ingegneri,somari,(senza titolo di studio) e tutti diciamo felicemente la nostra e, credo, con delle ottime morali.

ciao a tutti

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26/12/2009, 13:15
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Grazie delle belle parole BIANCA, Dommi, Nadia48, mantovano 46, ma, ehm, non vorrei creare un incidente diplomatico :oops: :oops: :oops:

Per rimanere in bilico tra agricoltura e il tema del topic, propongo un piccolo schock. E' anche in tema con il periodo. Avete mai assistito all'uccisione del maiale in campagna? Io si! E nel 1980 quello spettacolo al contempo bello e orrendo, mi fece scivere queste righe... (sperando di non fare ancora più danni ;) )


[b]IL RITO

Le grida
la barbara gioia
le risa
davanti a quel sangue

Eccitazione
violenta
Concitata
rabbia
e risa
e rabbia
e grida
gutturali
davanti a quei grumi di sangue

Paura pietà
e eccitamento
e violenza
per secondi
pochi
lunghi come la morte...

Così
vidi sull'aia
uomini
uccidere
i porci.

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26/12/2009, 18:48
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Cita:
ma chi trova che i racconti di gianni (oltre tutto moderatore del forum) non dovrebbero essere postati si prepari a << duellare >> con me e con molti altri.


vi consiglio di nn duellare :evil: con Ivano e neanche con me :twisted: (nonostante in possesso solo di vecchi archibugi sparano e di brutto)
la poesia il RITO mi ha fatto tornare in mente un episodio analogo di quanto avevo all'incirca 15 anni e scappai davanti alla scena dell'uccisione del maiale.In anni recenti quando con amici allevavamo 2-3 maiali al momento del "sacrificio" nn sono stato mai presente.Diceva l'anziana signora che il maiale avvertiva il mio disagio e agonizzava di più :!:

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26/12/2009, 19:04
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l'ultimo è davvero uno shock... duro e amaro nella sua realtà...
Farfalla è un racconto MERAVIGLIOSO..come dice dommi, un quadro appeso accanto ad un camino acceso...
complimenti di cuore
bea.

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Bea


26/12/2009, 19:06
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Sai poggioallorso, io sono cresciuto nella campagna marchigiana degli anni 60. D'estate scalzi e con le sole mutandine a correre per i campi, un pò selvaggi, un pò isolati da tutto (quando passava una macchina ci si affacciava a vedere chi era), ma forse anche liberi, e oggi non vorrei aver avuto un'infanzia diversa.

In quel mondo i momenti più belli per noi bambini erano quelli che generavano aggregazione, quando tutti si riunivano ad aiutare il contadino che faceva un certo lavoro, che poi a sua volta andava ad aiutare gli altri.

Erano i momenti in cui si stava insieme, si mangiava meglio e i grandi, tra una fatica e l'altra, trovavano il tempo e la voglia per ridere e scherzare.

Quei momenti erano la trebbiatura, oppure quando si "scarocciava" il granturco, e quando si ammazzava il maiale appunto.

Io, al momento dell'uccisione, andavo in camera (mamma mi diceva la stessa cosa che l'anziana signora diceva ad Eugenio) e per tutta la durata del "rito" passavo dalla finestra allo specchio dell'armadio, e dallo specchio alla finestra, in preda ad una strana eccitazione, misto di paura e curiosità.

Poi, più grandicello, ho partecipato al rito, un pò come una prova di raggiunta maturità, uno sdoganamento dall'adolescenza, agli occhi di quei rozzi contadini, che pure erano buone persone pronte ad aiutarsi vicendevolemente alla bisogna.
Non uccidevano il maiale per crudeltà, lo facevano perchè andava fatto, allo stesso modo e per la stessa ragione per cui si ara il campo.

Questo per loro era l'uccisione del maiale: Una cosa da fare e che andava fatta!

Io ho solo provato a mettere su un foglio quello che vedevo, ed i sentimenti che provavo...

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26/12/2009, 19:28
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