Grazie mariap
. Non crucciarti martu67, la storia di elmo è sicuramente, direi, importante.
Io racconto soltanto qualche ricordo di come eravamo nelle nostre campagne
Allora, come eravamo?
Abbiamo visto la mietitura, ora bisognava portare tutti i covoni nell'aia fare un grosso mucchio, chiamato "barcone" dalle mie parti, in modo che fosse possibile la trebbiatura. Tecnicamente l'operazione era chiamata: ardunare, ardunà
Per ardunà serviva aiuto e, come sempre, tutto il vicinato aggrediva un campo per volta fino ad ardunà il grano di tutti i vicini. Spesso si usavano le vacche per questa operazione che i trattori erano pochi e se stavano da una parte non potevano essere da un'altra e le vacche, spesso c'erano 2 3 carri con quindi 2, 3 paia di vacche più il trattore.
E li entravo in gioco io
, il ruolo dei ragazzi era "tenere le vacche", le vacche erano delle stupende e mansuetissime vacche marchigiane bianche e aggiogate a coppia al carro e io le spostavo da un cavalletto a un altro e badavo che non si muovessero mentre gli altri caricavano. In genere c'erano 2 persone a terra e una sul carro che aggiustava le gregne. Si faceva un grande carico, molto alto e, una volta finito il carico si andava sull'aia a scaricare.
Cos'era l'aia? L'aia era un posto spazioso e comodo da raggiungere, tale da consentire alla trebbia (piuttosto ingombrante), di fare tutte le sue manovre. Si facevano normalmente due barconi, uno per il grano e uno per l'orzo e si mettevano, possibilmente, in modo tale da non dover spostare la trebbia (operazione piuttosto complessa) quando si passava dalla trebbiatura del grano a quella dell'orzo o viceversa.
Anche tirare su il barcone richiedeva una certa perizia, bisognava farlo in modo tale che, in caso di pioggia, l'acqua potesse scorrere senza fare danni, questi lavori tecnici li faceva di solito mio nonno che era un po' una sorta di saggio del vicinato, interveniva nei parti delle vacche, faceva i pagliai in modo che venissero dritti (vedremo poi), insomma era una sorta di esperto.
Delle vacche ricordo la grande pazienza, le mosche che affollavano il loro muso nella loro quasi indifferenza, salvo ogni tanto dare una bella stestata per scacciarle, e bisognava stare attenti alle corna che allora ruotavano piuttosto velocemente. Avevano un grande naso nero umido e viscido e una lingua lunga e ispida con la quale si ostinavano a provare a leccarmi