In discussione un decreto legge che, appellandosi a normative comunitarie, regala le risorse idriche ai privati. Sull'esempio della Puglia, gli enti locali insorgonoAi più la faccenda è passata inosservata, ma al Senato è attualmente in discussione un decreto legge (135/09) che di fatto privatizza la gestione dell'acqua. Già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, è di fatto in vigore. Ora si discute la sua conversione in legge prima che scada.
Il decreto in realtà è "mascherato": si intitola "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee" e tratta delle risorse idriche solo all'art. 15, che modifica l'art. 23Bis della legge 133/2008 e non lascia dubbi.
Al titolo "Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica", stabilisce che il conferimento dei servizi pubblici locali avverrà tramite gara e andrà inevitabilmente a società miste in cui il partner privato, individuato mediante procedura ad evidenza pubblica, dovrà essere socio operativo con una quota di partecipazione non inferiore al 40%.
Di contro, gli affidamenti "a favore di società a capitale interamente pubblico", potranno realizzarsi soltanto dietro parere preventivo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, "per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato".
Questo, a prescindere dal fatto che tali aziende siano efficienti e in ordine con i bilanci.
Insomma, l'acqua privatizzata diventa la "normalità", quella pubblica, l'"eccezione".
Il governo si fa scudo con l'applicazione delle normative comunitarie, ma è lo stesso Parlamento europeo a smentire l'interpretazione italiana.
Due diverse risoluzioni di Strasburgo specificano che l'acqua è un “bene comune dell'umanità” e l'UE ha più volte ribadito che "alcune categorie di servizi non sono sottoposte al principio comunitario della concorrenza".
Se ne deduce che, secondo l'Europa, le autorità pubbliche competenti (Stato, Regioni, Comuni) hanno la libertà di scegliere come offrire il servizio e a chi affidarlo, pubblico o privato.
La scelta del nostro governo appare quindi perfettamente "politica" (o, se si preferisce, "filosofica"): altro che "attuazione di obblighi comunitari".
Sulla base della legislazione europea, la Puglia del Presidente Vendola ha quindi deciso di avviare le procedure per restituire statuto pubblico al locale acquedotto.
La Giunta regionale rivendica il fatto che l'acqua non sia assoggettabile ai meccanismi di mercato e ha impugnato l'art. 15 del decreto legge presso la Corte costituzionale in quanto lesivo dell'autonomia regionale.
A cascata, altri enti locali hanno seguito l'esempio pugliese: in Sicilia, sindaci e amministratori appartenenti al Coordinamento Regionale degli enti locali per l’acqua bene comune e per la ripubblicizzazione del servizio idrico, hanno presentato una proposta di legge regionale analoga a quella pugliese.
A Caserta invece è stato proclamato il diritto all’acqua come diritto umano definendo privo "di rilevanza economica" il servizio idrico integrato.
Stessa storia in molti altri comuni italiani come Roccapiemonte, Prevalle, Fiorano Modenese, Napoli, Corchiano, Pietra Ligure, Povegliano Veronese, Sommacampagna, Fumane che hanno già inserito nel loro Statuto un articolo a protezione dell'acqua intesa come bene comune pubblico.
Insomma, è probabile che la "pratica acqua" non passi senza colpo ferire.
http://salvadanaio.economia.virgilio.it ... acqua.html