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Agricoltura integrata, poco comunicata e poco valorizzata 
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...per Eugenio! ;)

I risultati del convegno Ccpb che si è tenuto all'Università del Sacro Cuore di Piacenza: necessario dare univocità e riconoscibilità al sistema di produzione

Agricoltura integrata, produzione e comunicazione Quando si parla di produzione integrata ci si confronta su tecniche la cui conoscenza aveva trovato motivo di giustificazione scientifica ben prima dell’affermazione della chimica in agricoltura. La necessità di contrastare determinati patogeni è un problema che l’uomo ha ben presente fin da quando ha cominciato a coltivare ed allevare e le conoscenze per selezionare ed allevare ausiliari ed insetti utili si erano sviluppate ben prima del secondo dopoguerra in cui si ricorse indiscriminatamente alla chimica, vista come una 'scorciatoia' per molti aspetti intelligente, ma purtroppo eccessiva ed apportatrice di 'effetti collaterali' derivanti da un uso eccessivo ed indiscriminato.

Da queste le premesse è partito convegno 'Agricoltura integrata. Dalla produzione alla comunicazione' che si è tenuto all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, organizzato da Ccpb - Controllo e certificazione e dal Dipartimento di Entomologia e patologia vegetale della Facoltà di Agraria.

Si è partiti dalla difesa, prima guidata e poi integrata, poi si è sviluppato un concetto olistico, dapprima più legato alla pianta piuttosto che all’azienda, per poi passare a considerare quest’ultima come elemento di base: quando si interviene su una pianta si va ad incidere sulla produttività e sulla qualità della coltura e dei suoi prodotti. I disciplinari di produzione integrata sono un’acquisizione recente: all’inizio c’erano dei protocolli di difesa ma il concetto di integrato ha preso piede associando all’uso 'ragionato' dei mezzi chimici il superamento della 'lotta a calendario', attuata con obiettivi specifici per ogni coltura e i possibili attacchi.

Il panorama mondiale delle esperienze che si rifanno al concetto di produzione integrata è molto vasto, un contesto che vede l’Italia tra i paesi che si sono dati disciplinari strutturati in modo appropriato, ciò che corrisponde alla necessità, anche agroclimatica, di darsi strumenti operativi molto affinati.

La produzione integrata è più legata alle coltivazioni frutticole (ortofrutta, vite, ulivo) ed orticole, piuttosto che alle coltivazioni estensive: per queste colture la conoscenza e le esperienze sono inferiori e non si sono sviluppate con la stessa intensità delle colture ortofrutticole per una inferiore percezione del 'problema agrofarmaci' da parte del consumatore.

Un’osservazione importante riguarda l’impianto legislativo che, mentre per il biologico non aveva avuto problemi ad approdare ad un intento comune a livello Ue e alla legge conseguente - il regolamento CEE 2092/91 - nel caso dell’integrato (al di là dei disciplinari come strumenti per l’applicazione e l’orientamento produttivo) non si è pervenuti ad una forma di legge a livello comunitario o nazionale che prevedesse le tecniche da adottare, l’attività di controllo, un albo dei produttori, indicazioni per la comunicazione e l’informazione dei consumatori, linee per la valorizzazione commerciale.

E tuttavia un ruolo fondamentale nell’ambito del rinnovamento dell’agricoltura a livello comunitario l’integrato l’ha avuto, basti pensare al regolamento CEE 2078 emanato nel 1992, al successivo 1257 del 1999 ed all’attuale 1698 del 2005. L’Ue ha emanato questi regolamenti con l'obiettivo di ridurre l’uso degli input esterni nel contesto di un’agricoltura attenta alle esigenze del mercato in un’ottica di rinnovato equilibrio con l’ambiente e le sue risorse. Diventa molto arduo redigere liste positive valide in ogni Paese, per ogni coltura e in ogni occasione. Forse sarebbe più ragionevole pensare ad una sorta di norma-quadro che stabilisca le caratteristiche del prodotto e definisca i limiti entro cui collocare le tecniche produttive lasciando ad ogni singolo paese e regione il compito di definire le tecniche. Sulla scorta di queste considerazioni, questa estate Uni ha pubblicato la revisione 2 della Norma 11233 che prende spunto dai criteri e principi fissati a livello internazionale dall’Oilb - Organizzazione internazionale di lotta biologica ed integrata per applicarli a livello nazionale e dall’esperienza maturata con i disciplinari regionali, non dimenticando il respiro europeo che la Norma dovrà avere, in quanto è intenzione dell’Uni proporla a livello di Comitato europeo di normalizzazione.

Si tratta di un primo passo per dare significato ad una esperienza produttiva nazionale e mediterranea e di proporla a livello internazionale quale standard di riferimento, definendo cosa può o non può essere definito come produzione integrata.

La produzione integrata oggi è nella sua età matura, il che implica l’adozione di un messaggio chiaro rivolto ai consumatori, condizione necessaria perché i prodotti possano vivere nel contesto di un’offerta sempre più competitiva nella quale il biologico gode di un’immagine più percepibile. Il consumatore che acquista un prodotto ortofrutticolo da produzione integrata – solitamente sotto l’ombrello del marchio privato della Gdo – non ne conosce le caratteristiche qualitative, non è in grado di capirne le tecniche adottate e la loro valenza, non ne conosce la validità dal punto di vista igienico-salutistico e della salvaguardia ambientale.

Non sono poi trascurabili le connessioni tra produzione integrata e biologico, il principio da cui partono entrambe le produzioni è simile: offrire un prodotto più salubre, più rispettoso dell’ambiente in virtù delle tecniche adottate e dei comportamenti dei produttori. Rispetto alla matrice comune, il biologico si differenzia perché non prevede in alcun modo l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, mentre l’integrato, sia pure nelle forme opportune, lo prevede, e ciò comporta metodi produttivi molto diversi.
Un’altra differenza consiste nella garanzia derivante dall’attività di controllo e certificazione, delegata ad organismi che operano con accreditamento in base alla Norma UNI CEI EN 45011. Questa è stata l’evoluzione che ha portato di fatto Ccpb a definire uno schema di certificazione di produzione integrata sulla base di quanto previsto dall’Oilb. Detto schema ha ottenuto l’accreditamento Sincert nel marzo 2003. La Norma ha definito gli elementi che caratterizzano il metodo di produzione, lasciando all’operatore il compito di adattarla alle condizioni pedoclimatiche attraverso la definizione di uno specifico disciplinare di produzione. Oggi, con la pubblicazione della Norma UNI 11233, Ccpb modificherà il suo standard di riferimento della produzione integrata adottando la Norma UNI che sostituirà quella che ha rappresentato una specifica tecnica di processo.

La Gdo ha inserito la produzione integrata nell’ambito del filone ecologista e consumerista. Ma, di fatto, ha inglobato le caratteristiche del prodotto all’interno della marca privata, coniando spesso denominazioni – e le conseguenti azioni di comunicazione e informazione – che il consumatore non ha avuto modo di percepire con chiarezza. Soprattutto non è riuscito ad individuare che si tratta di un prodotto frutto di uno specifico metodo e non si è riusciti a trasmettere i contenuti di tale metodo, complice un termine, integrato, poco comunicabile. Il prodotto e il suo significato vengono nascosti al consumatore e al mercato, non vengono comunicati i valori positivi di cui l’integrato è portatore e ci perde il sistema produttivo nazionale che in questi ultimi 25 anni ha saputo crescere sotto questo aspetto, ma non riesce a valorizzare gli sforzi e spreca un’occasione di differenziazione sul mercato internazionale.

Il non comunicare – al mercato e al consumatore – il valore di un metodo produttivo può portare allo svilimento del metodo e ai vantaggi di filiera che si ottengono, che non vanno solo a beneficio del sistema produttivo ma di tutta la collettività. La situazione attuale vede dunque una mancata valorizzazione della produzione integrata, ciò che chiama in causa diverse responsabilità: la Distribuzione che ha preferito promuovere i propri marchi di insegna (anche se va detto che la Distribuzione con i propri marchi privati ha contribuito a mantenere in vita il concetto di integrato), ma anche il sistema produttivo, che non ha saputo comunicare in modo efficace le proprie posizioni. Alle responsabilità non si può sottrarre l’intero sistema produttivo, includendo la funzione pubblica, che fin dalla definizione dei disciplinari di produzione integrata non ne ha colto l’impatto in termini di innovazione di processo e di prodotto e di valorizzazione commerciale.
Oggi è possibile recuperare parte del tempo perduto dando univocità al sistema di produzione e riconoscibilità alla produzione integrata anche attraverso un’azione congiunta che sappia innestare la forza del consenso delle parti e del mercato, espresso con la pubblicazione della Norma UNI, con l’attività pubblica di Regioni e Mipaaf. La predisposizione dei disciplinari regionali e la valorizzazione delle produzioni così ottenute può giovarsi di un modello di riferimento comune, dato dai principi e dai criteri enunciati dalla Norma UNI, quale base omogenea per la realizzazione dei Disciplinari e le azioni in termini di riconoscibilità del prodotto.

Fonte: Ccpb (Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici)

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18/11/2009, 8:08
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spiegazione lineare e onmicomprensiva di tutto

pero come uscireda quasto stato di cose

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18/11/2009, 9:00
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Oggi è possibile recuperare parte del tempo perduto dando univocità al sistema di produzione e riconoscibilità alla produzione integrata anche attraverso un’azione congiunta che sappia innestare la forza del consenso delle parti e del mercato, espresso con la pubblicazione della Norma UNI, con l’attività pubblica di Regioni e Mipaaf. La predisposizione dei disciplinari regionali e la valorizzazione delle produzioni così ottenute può giovarsi di un modello di riferimento comune, dato dai principi e dai criteri enunciati dalla Norma UNI, quale base omogenea per la realizzazione dei Disciplinari e le azioni in termini di riconoscibilità del prodotto


credo lo stia dicendo da tempo che questa forma di produzione sia il giusto compromesso produttivo.Ora anche più facile con la normativa armonizzata tra le regioni

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19/11/2009, 17:09
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dunque eugenio fammi pensare un po ...
se non sbaglio , erano 10 anni fa occhio croce.
avevo proposto alla coopertativa distoccaggio di cui faccio parte
di metter da parte il mais che coltivavamo seguendo il reg cee 2078 ( che poi venne di seguito assorbito nella misura f , se non sbaglio)un silos da 15mila quintali

totale insuccesso , anche se avevamo la richiesta da parte di un rpoduttore di uova , potrei dire collega, di fare una filiera cortissima cereali , gallina uova negozi in zona, per dare imamgine alle produzioni locali.

dico , uno , uno soltanto dei negozi (calcoliamo che con20mila galline lo smercio nonera di quelli piccoli) avesse aderito a questa iniziativa .

per cui dell'agricoltura integrata , anche se poi ha preso piede perche permetteva un sensibile calo di mezzi tecnici nella produzione ,ma anche un calo di produzione massima non gliene frega niente a nessuno..


ora come ora hanno messo un tetto alle produzioni di mais , hanno limitato le concimazioni azotate....

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19/11/2009, 20:38
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x me è più credibile del biologico e meglio attuabile

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19/11/2009, 23:59
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ti diro eugenio , che uno prenda i soldi pac sulla misura f, o che uno non li prenda , vedo sempre meno gente che si "abbandona " alla chimica pura , come una volta , con i classici trattamneti a calendario.

le rotazioni , e le operazioni colturali fatte nelle epoche giuste danno una grande mano .

il problema viene per chi non ha un allevamneto .

oggi come oggi mantwenere stabile la sostanza organica nel terreno non e' facile , tranne qualche caso perticolare, (risaie , o vigneti frutteti )

secondo em in agricoltura non bisogna intergrare solo le conoscenze tecniche
, ma bisognerebbe integrare le mentalita, ma e' troppo uno sforzo sociologico, perche molte necessita vengono da persone che vivono fuori dell'agricoltura stessa o a fianco

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21/11/2009, 0:45
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eugenio ha scritto:
x me è più credibile del biologico e meglio attuabile


Perchè più credibile?
Se uno imbroglia, imbroglia in qualsiasi regime, o no?
E poi più che "meglio attuabile", direi forse "più produttiva"?


grintosauro ha scritto:
secondo em in agricoltura non bisogna intergrare solo le conoscenze tecniche, ma bisognerebbe integrare le mentalita, ma e' troppo uno sforzo sociologico, perche molte necessita vengono da persone che vivono fuori dell'agricoltura stessa o a fianco


Grintosauro, sono perfettamente d'accordo con te. Se uno ha la mentalità le cose possono funzionare in QUALSIASI regime si operi, se uno lo fa per moda, senza scrupoli e "visione globale" della responsabilità che ha l'agricoltore verso la sua terra - e quindi verso il Pianeta - NIENTE funziona correttamente e non vi può essere alcuna fiducia...
Jacopo

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21/11/2009, 10:32
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più credibile xchè puoi dire alla gente che un prodotto è stato coltivato usando razionalmente antiparassitari e tecniche colturali adeguate in base a dei disciplinari finalmente uniformati che sono frutto di lunghi anni di esperienze.Più attuabile xchè sottoposta a meno vincoli.
Siccome in certe ultime annate si è fatto fatica e nn poco anche a seguire l'integrato mi chiedo x certe colture fino a che punto sia stato possibile il biologico.
Aggiungo inoltre che come diceva giustamente Grinto oggi sempre meno si fanno trattamenti a calendario e quindi si guarda di più alla tasca e credo che l'integrato in questa ottica possa attecchire bene.
Se i riferimenti a chi vive fuori dall'agricoltura sono x i tecnici che approntano i disciplinari credo che sia sbagliato.

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21/11/2009, 10:45
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Su questo argomento, caro Eugenio, mi sa che non saremo mai d'accordo... ;)
Io ritengo che con il cervello si possono ottenere buoni risultati anche con l'agricoltura biologica.
E' certo che se io lo scorso anno avessi voluto seminare grano tenero con la pioggia che c'è stata da novembre a febbraio, sono certo che non avrei potuto, o almeno in Maremma certamente no. Forse aumentando input chimici avrei potuto colmare le carenze provocate da una semina posticipata.
Io ho preferito seminare orzo e aumantare i rinnovi, cercando nuovi canali di vendita.
Penso siano semplicemente approcci differenti ad uno stesso problema: rendere quest'agricoltura remunerativa, ecologicamente sostenibile ed intellettualmente stimolante.
Ciao,
Jacopo

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21/11/2009, 14:57
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sta di faytto che oggi come oggi , l'agricoltura va dove e' meno tassata e men burocratizzata.

notizia di stamttina uno dei piu grandi suinicoltori delal mia zona , ha aperto un allevamento in romania , stiamo parlando di uan azienda che nelle mie parti coltiva quasi 600ettari a mais , e piu di 200 a orzo solo per il loro autoconsumo.

con questa prerogativa certamente si va verso il biologico , perche terreni coltivati e ben tenuto , ma meno produttivi , andranno o a prato stabile o a bosco.

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21/11/2009, 16:59
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