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Allevatori DOC: ce ne sono tanti, ma non lo sa nessuno di Valeria Rossi
Ammettiamolo una buona volta: è anche colpa nostra.
E questo “nostra” comprende tutti gli “addetti ai lavori” che hanno a che fare con la cinofilia ufficiale.
Ci lamentiamo tutti dell’immondo traffico di cuccioli dall’Est (tranne l’ENCI, forse, che vede solo il business delle volture dei pedigree e gli vengono le pupille con dentro i $$$ come a zio Paperone).
Ci lamentiamo quando la gente dice che noi allevatori siamo “troppo cari” perché vendiamo a 100 quello che vale 100, e poi va in negozio a pagare 80 quello che vale 10.
Ci lamentiamo perché ci dicono che siamo brutte bestiacce cattive che lucrano sugli esseri viventi, li portano in giro in gabbia e li fanno vivere in box (vuoi mettere quei simpatici negozianti che invece li tengono in vetrina, dove possono essere accarezzati e pasticciati da tanti bei bambini? Loro sì che i cuccioli li fanno felici!).
Ci lamentiamo tutti, siamo tutti nauseati e schifati: ma ci siamo mai chiesti a cosa va incontro un neofita che vorrebbe comprare il suo primo cane?
Ci siamo mai resi conto che la cinofilia, per lui, è un labirinto inestricabile e che gli è praticamente impossibile distinguere tra “buono” e “cattivo”?
E se l’abbiamo capito… cosa possiamo fare, noi “buoni”, per distinguerci?
Per rispondere a queste domande bisogna partire dalla più semplice, la più elementare, la più banale: chi pensa di comprare un cane, cosa fa?
Quindi prendiamo un neofita a caso, assolutamente inesperto, che per motivi suoi (che qui non stiamo ad esaminare) ha deciso che vuole un cane di razza.
Domanda numero uno: perché ha preso questa decisione?
Almeno nella metà dei casi l’ha presa perché si è innamorato del cane del vicino, o del capo ufficio, o dell’amica del cognato della cugina acquisita.
In un altro buon quaranta per cento di casi si è infatuato del cane della pubblicità della carta igienica o del telefono, del protagonista del film X o del telefilm Y.
In altre parole, il novanta per cento dei neofiti decide di comprarsi un cane senza avere la più pallida idea di quello che lo aspetta.
Della razza può avere qualche informazione di seconda mano, se ha chiesto al capoufficio o all’amico del cognato della cugina: se invece è andato “a carta igienica” & affini ne conosce a malapena l’aspetto fisico (e spesso in modo impreciso: ai tempi della prima carica dei 101 erano ricercatissimi i cani con entrambe le orecchie nere, come Pongo. Il che è un difetto).
Con questa “profonda” cultura di base, la signora Rosa o il signor Giuseppe di turno partono alla ricerca del cucciolo.
E dove vanno?
Rendiamoci conto che l’italiano medio non sa neppure cosa siano l’ENCI, i Club specializzati, i Gruppi Cinofili: quindi questa è una strada che viene intrapresa una volta su dieci…che vada bene.
E già viene da chiedersi come mai, nelle rarissime occasioni in cui la gente comune si avvicina alla cinofilia ufficiale (e cioè quando la cinofilia ufficiale va a farsi bella in TV in Collari d’Oro e affini, che sono la parodia di un’esposizione canina), non si parli MAI della funzione dei vari organi che si occupano del cane di razza pura.
In TV si parla di entità leggendarie come se tutti sapessero chi e cosa sono, quando in realtà non lo sa nessuno.
Prendiamo per esempio i “giudici ENCI”.
Quando c’è il concorso di Miss Italia la giuria è composta da attori, registi, giornalisti famosi: magari non sempre si sa “chi” sono, ma certamente si capisce “cosa” sono.
Invece, quando si tratta di Collare d’oro…io mi vedo la signora Rosa che, davanti alla TV, sgrana gli occhi di fronte a questi strani personaggi caduti dal cielo.
Ma dove stavano, prima di arrivare in TV? Chi caspita sono, che fanno nella vita?
La signora li vede sicuramente come adepti di una misteriosa setta che si tramanda – forse di padre in figlio, e ovviamente in gran segreto – la capacità divina di giudicare i cani (e la venerabile età di molti di essi, unita all’abbigliamento alla Mandrake che sfoggiano in trasmissione, sicuramente convalida questa immagine).
La seconda entità leggendaria, molto citata ma spiegata meno di zero, è l’”allevatore”: costui in trasmissione non viene proprio identificato, neppure quando presenta il cane…però è “un po’ meno” misterioso del Giudice. Perché la signora Rosa, in un modo o nell’altro, ne ha sicuramente sentito parlare.
Come, e da chi?
Be’, dipende.
Se la signora Rosa ha visto in giro per la città i manifesti delle associazioni che “dovrebbero” combattere il randagismo, o se per caso si è avvicinata al banchetto di turno in cui si raccolgono firme per la battaglia di turno, sicuramente le hanno parlato di noi.
Malissimo.
Il messaggio che le è arrivato è stato il seguente: “Stai lontana dagli allevamenti. Ci trovi loschi personaggi che lucrano sulla pelle dei cuccioli: ladri, truffatori e razzisti.”
Evvai!
Se la signora Rosa ha sentito affermazioni di questo tipo, scordiamocela pure.
E speriamo che vada davvero a prendersi un cane al rifugio (scelta a cui plaudo con tutto il cuore)…perché se invece, putacaso, volesse proprio un cane di razza, visto che i tizi del banchetto hanno sputtanato a sangue gli allevatori ma non hanno profferito verbo contro i negozi (mi è capitato tre volte di sentirmi rivolgere personalmente la trafila antiallevatore, senza il minimo cenno ai cani dell’Est), filerebbe come un treno al pet shop sotto casa.
Ma supponiamo che la signora Rosa non ce l’abbia con gli allevatori, anzi pensi che sono brave persone come quello “che dà *** ai suoi ‘hani” e gli fa un sacco di coccole (lo spot è sparito da anni, ma ce lo siamo sorbiti in tante e tali salse che ci è rimasto impresso): o che abbia saputo che il solito cugino o la cognata dell’amica del fratello maggiore ha preso il cane “in allevamento”.
Dove lo cerca, la signora Rosa, il “suo” allevamento?
Siccome non sa che esistono ENCI e Club (o se lo sa le ritiene sette segrete a cui non prova neppure ad avvicinarsi), le possibilità in pratica sono tre: o apre le pagine gialle, o compra libri e riviste cinofile facilmente reperibili all’edicola sotto casa, oppure (se è una sciura Rosa tecnologica) digita il nome della razza che le interessa su un motore di ricerca: ma se non ha la fortuna di imbattersi in questo sito (scusate l’autoincensata, ma quando ce vo’ ce vo’)…si ritroverà probabilmente alle prese con 16525161516 allevamenti diversi, compresi quelli di Timbuctù, in cui non ha alcuna speranza di raccapezzarsi, a meno che non sia già un’esperta.
Ma se fosse un’esperta non sarebbe il nostro prototipo di neofita DOC: quindi diciamo che la “nostra” signora Rosa o fila dritta verso il primo allevamento che trova su Internet (e che promette “cuccioli di tutte le razze sempre pronti con spedizioni in tutta Italia”: ovvero, cagnaro e/o importatore), o torna a sfogliare libri e riviste cartacee.
E cosa trova?
Sui libri, assolutamente niente: indirizzi e telefoni non ci sono quasi mai…e se ci sono, sono vecchi di secoli, perché le case editrici rinnovano le collane cinofile ogni 102 anni.
Sulle riviste, invece, la signora Rosa riesce finalmente a trovare diverse inserzioni di “allevamenti”: belle chiare, con indirizzi e telefoni.
Su alcuni giornali troverà anche il listino della…borsa canina, con i prezzi di tutte le razze (come se i cani fossero automobili e il modello “X” dovesse costare sempre la stessa cifra da qualsiasi concessionaria).
La nostra signora è finalmente giunta alla meta: si fida ciecamente delle inserzioni pubblicate sulla rivista cinofila (cavoli, in fondo è una rivista specializzata!).
Sfoglia, legge, sceglie, telefona.
E nove volte su dieci, becca il cagnaro.
Perché?
Semplicissimo: perché gli annunci sulle riviste specializzate costano cari.
E noi “addetti ai lavori” sappiamo benissimo che l’allevatore serio, coscienzioso, responsabile, preparato…insomma, l’unico allevatore da cui varrebbe la pena di acquistare un cucciolo, è un signore che alleva una o due razze al massimo, che fa al massimo due o tre cucciolate all’anno, che seleziona con cura e quindi non può produrre in quantità industriali.
Il risultato è che questo signore certamente non si arricchisce con la vendita di cani: e se dovesse pubblicizzare la propria attività su tutte le riviste cinofile, più tutti i siti Internet che parlano di cani…andrebbe rapidamente in rovina.
Non ci piove.
O si mette a vendere i cuccioli a peso d’oro (e la signora Rosa scappa via a gambe levate), o si mette a produrre trecento cuccioli l’anno (e allora non seleziona più e non è più un allevatore serio), oppure lascia perdere la promozione, si fa una bella clientela di cinofili già acculturati e preparati…e rinuncia alla signora Rosa.
La quale, a sua volta, non scoprirà mai che magari, a pochi chilometri da casa sua, c’era un ottimo allevamento della razza che le interessava.
La signora Rosa, sulla rivista o sul web, troverà invece la pubblicità di un allevamento che ha “proprio quella razza lì”: per forza, visto che le tiene praticamente tutte!
E sarà felice di scoprire che questo “allevamento” (non distinto in alcun modo dagli allevamenti SERI) il cucciolo glielo spedisce a casa, senza costringerla ad andarselo a prendere: ma che carini, ma che gentili!
Alla signora Rosa non si accende nessun campanello di allarme in testa: cosa ne sa, lei?
Chi le ha spiegato che allevare mille razze è sicura garanzia di NON qualità?
Chi le ha mai detto che i “canifici” non fanno alcuna selezione, che talora importano dall’Est e che non fanno MAI controlli sulle malattie genetiche?
Probabilmente nessuno.
Però, a volte, lo trova scritto per la prima volta proprio sulla rivista che sta sfogliando. La stessa che in fondo ha tutte quelle belle inserzioni.
Ora…mi sembra chiaro che la signora Rosa, leggendo un articolo che la mette in guardia contro i cagnari, NON penserà mai di trovare cagnari e canifici pubblicizzati sullo stesso giornale. Che senso avrebbe?
Quindi si fida degli annunci che trova…e fa malissimo, ahimè.
TUTTI i cagnari sono presenti su qualsiasi giornale, rivista, sito: sono ovunque, e non c’è da stupirsene.
Infatti i cagnari vendono davvero trecento (e più) cuccioli all’anno, fatti da loro o importati: quindi guadagnano molto e hanno molti soldi da investire in pubblicità.
D’altro canto, gli editori di riviste cinofile devono campare.
Hanno un mare di spese, hanno un pubblico ridotto (come tutta l’editoria specializzata) da dividere con una concorrenza assolutamente sproporzionata: quindi gli spazi pubblicitari devono venderli.
Certo, potrebbero (anzi, dovrebbero) vendere solo a chi dà certe garanzie di qualità, fornendo così un vero servizio ai lettori.
Purtroppo non lo fanno.
Noi ci abbiamo provato, quando siamo usciti su carta: e infatti abbiamo chiuso bottega.
Invece il noto (e ricco) editore di una nota (e ricca) rivista specializzata che ancora sopravvive e prospera, qualche anno fa, mi disse: “A me interessa che l’inserzionista paghi puntuale: non tocca a me giudicare come alleva o cosa alleva”.
Fine della storia.
Per quella affermazione io chiusi la mia collaborazione con quella rivista… ma non avrei dovuto indignarmi né stupirmi più di tanto: infatti, in Italia, non c’è UN singolo editore cinofilo che sia…un cinofilo.
Nessuno di loro ha un passato di allevatore o di espositore: qualcuno ha un cane in casa, qualcuno neanche quello.
E così la signora Rosa, sulla famosa rivista (ma anche su quella non famosa, che avendo meno soldi è ancor più “affamata” di inserzioni) trova schierati TUTTI i peggiori cagnari italiani…affiancati da quei quattro “veri” allevatori in croce che, benestanti per i cavoli loro (e indipendentemente dai cani), possono permettersi di pagarsi la pubblicità anche se i conti non tornano. E talora da qualche disperato che, sperando di mettere in evidenza l’ottimo lavoro che svolge, fa veri e propri sacrifici per pagarsi la singola uscita, magari in corrispondenza con la cucciolata a cui ha dedicato anima e cuore.
Ma dove esce la sua inserzione, frutto di tanto sacrificio?
Nella stessa pagina di quella del cagnaro.
E quando la signora Rosa telefona ad entrambi e scopre che l’allevatore DOC per un cucciolo chiede 1000 euro, mentre il cagnaro ne chiede 500…secondo voi, da chi va?
Bene: a questo punto, individuato il (disastroso) problema… proviamo a cercare le soluzioni.
1 – la TV, veicolo di informazione numero uno, dovrebbe “scoprire” che alla signora Rosa piacerebbe molto una trasmissione in cui le dicessero dove e come comprare un buon cucciolo senza prendere clamorose bidonate. Non arriviamo all’”eresia” di chiedere una trasmissione solo su questo argomento, per carità: ma almeno all’interno di “I love my dog” e simili, santiddio, si potrebbe trovare UN lurido minuto da dedicare all’informazione!
E guardate che il fatto che non glielo dedichino non significa che non “vogliono” fare informazione: significa semplicemente che non conoscono l’appetenza del pubblico verso l’informazione.
Autori e produttori televisivi (la maggior parte dei quali ha l’età dei giudici ENCI di cui sopra) sono abituati da sempre a pensare al pubblico come a un grazioso gregge di pecorelle deficienti da portare sempre allo stesso pascolo.
Ma se qualche migliaio di pecorelle, un giorno o l’altro puntasse i piedi e belasse: “Ehi, siamo stufe di quest’erbetta giallina: ora vogliamo quella verde”…be’, state tranquilli che si troverebbe subito un pastore disposto a portarle verso il nuovo pascolo.
Perché il pubblico di “deficienti” è anche quello che tiene in mano i fili dell’audience, fili capaci di far ballare come burattini tutti gli autori e i produttori del mondo.
Quindi, CHIEDIAMO che si parli seriamente di cani, in modo informativo e non buffonesco. Mandiamo lettere a tutti i programmi televisivi che si occupano di cani. In rete si trovano tutti i numeri di fax e gli indirizzi e-mail delle produzioni televisive. Basta usarli.
2 – le riviste specializzate, edite – come abbiamo visto – da NON cinofili che NON conoscono le vere esigenze del loro pubblico (tant’è vero che vanno in edicola “mirando” alla signora Rosa…ma con articoli di cui alla signora Rosa non potrebbe frega’ de meno) hanno a loro volta numeri di telefono e di fax, nonché indirizzi e-mail. Usiamo anche quelli, chiedendo che – se non altro – vengano nettamente divisi gli allevamenti riconosciuti ENCI da quelli cosiddetti “amatoriali”, e gli allevamenti specializzati (in una-due razze al massimo) dai canifici.
Chiediamo che la rivista – correttamente – ci spieghi la differenza.
Non c’è bisogno di scrivere: CAGNARI in cima alla pagina, eh?
Basta la dicitura: “allevamenti non specializzati”.
Però, in cima alla pagina di quelli specializzati, seri e competenti si dovrebbero scrivere le garanzie che offrono (per esempio, “gli allevamenti qui elencati effettuano su tutti i loro riproduttori i controlli delle malattie ereditarie X, Y e Z).
Possiamo chiederlo, sapete?
Perché l’editoria cinofila, come la TV, prende per il naso gli sponsor che gli garantiscono la sopravvivenza: ma se gli sponsor alzassero la cresta facendo precise richieste, loro la abbasserebbero subito.
Basta che queste richieste arrivino…ma è evidente che NON arriveranno mai dalla signora Rosa, che di queste cose non sa nulla.
Devono arrivare dagli allevatori seri.
Devono essere i buoni allevatori a esigere di non trovarsi affiancati al cagnaro di turno…e basta una semplice frasetta: “se non ci separate, sorry, non faremo più pubblicità con voi”.
3 – I Club di razza, infine, dovrebbero far sapere alla signora Rosa che, semplicemente… esistono. E che sono la fonte più sicura per trovare un buon allevamento, un buon cucciolo, un non-bidone. Quindi, anziché dedicare le riunioni esclusivamente all’identificazione del giudice più interessante per la Speciale di Pincopallino, potrebbero spendere un po’ di tempo – e un po’ di fondi sociali – in favore della cultura cinofila.
Potrebbero stampare volantini da distribuire alle esposizioni; potrebbero organizzare conferenze e incontri; potrebbero fare un sacco di cose NON per vendere o far vendere il cucciolo al singolo allevatore, ma per far capire alla gente che cos’è e dove si può trovare un cucciolo di qualità. Perché il giorno in cui il grande pubblico lo capirà, tutti i buoni allevatori ne avranno un immenso tornaconto, anche economico.
Non si può sempre aspettare che “ci pensi qualcun altro” (tantomeno l’ENCI, ahinoi). Gli allevatori seri devono mettersi in moto, unirsi e protestare contro chi non li considera nel modo dovuto, far sentire la propria voce ai media, pestare i pugni all’interno delle Società specializzate affinché la cultura e l’informazione corretta vengano messe al primo posto.
P.S.: questo articolo è stato scritto nel 2002. Sono passati quasi dieci anni e non è cambiato assolutamente nulla: è ancora attuale, tanto che ho deciso di riproporlo pari pari, con lo stesso invito: FACCIAMOCI SENTIRE.
Chissà che, a dieci anni di distanza, magari adesso che i contatti attraverso i social network sono molto più fluidi e veloci, qualcuno non possa riciclare questa mia vecchia idea e magari metterla in pratica.
08/07/2011, 2:47
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