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Il simbolismo dell'Asino nel presepe natalizio 
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Alfredo Cattabiani - Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno

"Nel classico presepe, che san Francesco allestì per primo a Greccio ispirandosi alle rappresentazioni liturgiche della notte di Natale, nella grotta accanto al bambino vi sono un asino e un bue di cui non parlano i vangeli canonici, ma lo Pseudo Matteo, risalente ad un epoca posteriore al VI secolo: << Il terzo giorno dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla: mise il bambino nella mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono. Così si adempì ciò che aveva detto Isaia: "Il Bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone". Infatti questi animali, avendolo in mezzo a loro, lo adoravano senza posa>>.
Nella letteratura cristiana i due animali del presepe hanno suscitato tanti simboli. Entrambi hanno figurato, secondo il racconto dello Pseudo Matteo, i fedeli che riconoscono il Cristo e l'adorano. Secondo san Girolamo l'asino sarebbe l'Antico Testamento e il bue il Nuovo. Vi è chi, come Eucherio di Lione e Isidoro di Siviglia, vede nel primo i pagani e nel secondo il popolo eletto. Altri ancora sostengono sarebbe l'emblema delle forze benefiche e il secondo, come sostiene anche un contemporaneo, René Guenon, delle forze malefiche che il Cristo dominerà <<cavalcandole nella domenica delle Palme. Queste diverse interpretazioni sono dovute ai differenti contesti culturali in cui sono maturate. Il bue, però, contrariamente all'asino, ha sempre evocato simboli positivi. [...]
L'asino invece, come si è accennato, ha evocato simboli contrastati se non opposti. Ma nei Vangeli è difficile attribuirgli una valenza negativa. Come è possibile vedere nell'asino del presepe, dipinto o scolpito nelle cattedrali del medioevo con un'espressione dolce e tenera, un simbolo negativo se non addirittura demoniaco? Quell'animale accompagnerà il Cristo durante tutta la sua vita, dalla fuga in Egitto fino all'entrata in Gerusalemme alla domenica delle Palme. E come mai il Cristo entra a Gerusalemme trionfalmente cavalcando un'asina? Per simboleggiare, com'è stato scritto, la sua vittoria sulle forze maligne?
Nelle antiche tradizioni asiatiche, o meglio indoeuropee, l'asino era simbolo regale-sapienzale. In tutto l'oriente l'asina bianca era la cavalcatura di re e condottieri, come testimonia anche l'Antico Testamento che in vari passi associa l'animale ai giudici e ai comandanti dell'esercito: <<Voi che cavalcate asine bianche seduti su gualdrappe>> dice Debora rivolgendosi ai comandanti di Israele. Presso gli Hyksos, il popolo che nel XVII secolo a.C. occupò l'Egitto settentrionale, due orecchie d'asino poste alla sommità di uno scettro erano l'insegna degli dèi. Quando, nel XVI secolo a.C., gli Egizi ebbero cacciato gli invasori, rappresentarono in un asino il dio distruttore Seth, l'uccisore di osiride, contro il quale avevano combattuto vittoriosamente Iside e il figlio Horo. Probabilemtne è questa l'origine nella mitologia egizia del simbolismo negativo dell'animale, che si sarebbe trasmessa a tutta l'area mediterranea con il diffondersi dei misteri isiaci, ai quali s'ispirò Apuelio nell'Asino d'oro dove Lucio, il protagonista, viene trasformato in asino per la sua vita disordinata e passionale, e infine restituito a fattezze umane, ovvero <<salvato>> dalla dèa.
Ma il simbolismo negativo è dovuto anche al conflitto in Grecia, risolto più tardi in unsincretismo, fra la religione apollinea e la dionisiaca intorno all'inizio dell'ultimo millennio a.C., quando i Traci, di cui facevano parte anche i Frigi, invasero la Beozia e l'Attica introducendovi il culto di Dioniso. L'asino era la cavalcatura di Dioniso, come di Sileno, e per questo motivo venne inizialmente disprezzato e assunto a simbolo di vizi. In questa luce si situa l'episodio mitico di re Mida, al quale crebbero orecchie asinine perché, in una gara musicale tra Apollo e Pan, aveva preferito la musica della siringa alla celeste lira del maestro delle Muse. In realtà il mito di Mida era una deformazione greca del simbolismo originario e adombrava non solo l'antico conflitto fra religione apollinea e dionisiaca, ma anche le vicende storiche fra Greci e Traci, che si conclusero con la definitiva vittoria dei primi.
In questo contesto va situato anche l'episodio di re Mida che tutto tramutava in oro. Narra il mito che un giorno il vecchio Sileno, pedagogo di Dioniso, si allontanò dall'esercito dionisiaco che marciava dalla Tracia alla Beozia e si addormentò, ebbro, nel giardino di rose che Mida aveva piantato.
I giardinieri lo inghirlandarono di fiori e lo condussero da Mida, al quale Sileno narrò <<storie meravigliose>>. Mida, deliziato dalla sua fantasia, dopo averlo trattenuto cinque giorni e cinque notti, lo fece scortare fino al quartier generale di Dioniso. Felice per il suo ritorno, il dio mandò a chiedere a Mida quale ricompensa desiderasse, e il re senza esitare: <<Vorrei che tutto ciò che tocco si trasformasse in oro>>. E così fu. Il resto della storia non è se non una deformazione greca del mito. Non soltanto le pietre, i fiori e i mobili del palazzo si trasformarono in oro, ma anche il cibo e l'acqua che il re portava alla bocca. Mida supplicò allora il dio di annullare il suo desiderio; e Dioniso gli consigliò di lavarsi nella fonte del fiume Pattolo, presso il monte Tmolo. Mida obbedì, e subito fu liberato, mentre le sabbie del fiume Pattolo cominciarono a brillare d'oro.
Ripercorriamo il mito eliminandone le stratificazioni elleniche. Il giardino di rose, che Mida aveva piantato, non era che il simbolo della massima fioritura spirituale e, allo stesso tempo, delle sacre nozze fra il divino e l'umano. Nel giardino di rose si addormenta l'inviato di Dioniso, che delizierà con le sue storie meravigliose Mida, ovvero lo inizierà. Il re è rappresentato con lunghe orecchie d'asino perché, essendo gli asini sacri a Dioniso, le orecchie erano il segno della sapienza concessa a Mida; il quale ottiene anche un altro privilegio, di tramutare tutto in oro. <<La proprietà che Mida aveva ottenuto da Bacco di mutare in oro tutto ciò che avrebbe toccato non è altro se non un'allegoria della trasmutazione dei metalli in oro>> scriveva Antoine Joseph Pernety nel 1758. E questa riflessione alchemica rende superfluo ogni utleriore commento.
Margarethe Riemschneider rammenta che nelle chiese vicine all'abbazia di Cluny appare l'asino con le rosette sotto gli zoccoli, le quali erano simbolo dei cluniacensi. Quei monaci erano soliti indossare abiti regali voluminosi e appesantirsi con catene, quasi volessero diventare <<asini>>, bestie da soma. Sicché l'asino con le rosette è il simbolo di chi diventa <<asino>>, ovvero porta il fardello della Croce camminando con zoccoli di rose e partecipa della regalità e del sacerdozio divino cui alludono i fiori mitici, vedendo ciò che altri non vedono.
Non è un'interpretazione priva di connessioni con la Sacra Scrittura. Anche nell'Antico Testamento appare l'animale che vede l'invisibile: l'asina di Balaam, il <<mago>> armeno, identifiacto addirittura con Zoroastro nel medioevo, al quale Balak, re di Moab, chiese di maledire - ovvero di scacciare con la magia della parola - gli Ebrei penetrati nel suo territorio. Yahweh apparve una prima volta a Balaam proibendogli di partire, e una seconda volta ordinandogli di recarsi dal re di Moab e di fare quel che al momento opportuno gli avrebbe comunicato.
Balaam, sellata l'asina e accompagnato da due servitori, si avviò verso l'accampamento di Balak. Per tre volte Yahweh gli mandò incontro un angelo con la spada sguainata che fu visto solo dall'asina; la quale tre volte lasciò la strada maestra deviando per i campi, regolarmente bastonata dall'ignaro padrone. Finché, esasperata, non si limitò a ragliare ma cominciò a dire: <<Che ti ho fatto perché tu mi percuota per la terza volta?>>. E Balaam le rispose: <<Perché ti sei beffata di me? Se avessi una spada in mano, ti ucciderei subito>>. E lei: <<Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così?>>. <<No>> rispose lui. Allora, narra la Sacra Scrittura, il Signore aprì gli occhi di Balaam che vide finalmente l'angelo con la spada sguainata. <<Perché hai percosso l'asina già tre volte?>> gli domandò l'inviato di Yahweh. Poi soggiunse: <<Io sono uscito a ostacolarti il cammino [...] Tre volte l'asina mi ha visto ed è uscita davanti a me; se non fosse uscita di strada, ti avrei ucciso>>. Allora Balaam disse all'angelo: <<Io ho peccato perché non sapevo che ti fossi posto contro di me sul cammino; se ti dispiace il viaggio, tornerò indietro>>. <<No, va' pure con quegli uomini,>> rispose l'angelo <<ma dirai quello che ti suggerirò>>. Così avvenne e Balaam, ispirato dal Signore, anziché maledire l'accampamento di Israele, lo benedisse con i quattro celebri vaticini."

Continua...

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Beppe Niccolai


24/12/2009, 10:41
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Grazie Sunmyra, molto interessante! ;)

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Saluti, Innaig


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Figurati Innaig!
Riporto l'ultima parte di questo interessante brano sul simbolismo dell'asino. Davvero significative e belle la righe finali sul raglio asinino. Da leggere con attenzione.

Alfredo Cattabiani - Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno

[...] "D'altronde, tornando ai monaci di Cluny, l'asino con le rosette, simbolo di chi porta su di sé la croce, ovvero il Cristo, era stato profetizzato da Zaccaria: <<Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina>>. Così sarebbe avvenuto la domenica delle Palme, come narrano gli evangelisti.
Nel medioevo quell'asinello avrebbe evocato anche l'emblema di una virtù alla quale allude l'animale in carne e ossa con la sua pazienza nel sopportare fatiche e maltrattamenti e nel compiere anche i servizi più umili. Ugo di San Vittore spiegava che <<montare sull'asina significa esercitarsi alle pratiche della vera umiltà, interiormente, davanti a Dio; ma soltanto montando il figlio dell'asina, come fece il Cristo, si diventa attenti ai doveri della vera umiliazione esteriormente, davanti al prossimo>>. Sicché l'asina ha evocato nel cristianesimo anche l'emblema dell'umiltà, e l'asinello l'umiliazione scelta volontariamente per imitare il Cristo. Per ricompensare l'asino dei suoi servizi, narra una leggenda medievale, il Cristo gli fece crescere all'incrocio tra la schiena e le spalle due linee di peli scuri a forma di croce: simbolo di chi serve ovvero imita il Cristo, ed è in comunione con lui.

Infine l'asino, in una suprema metamorfosi simbolica, ha figurato persino il Cristo. Nelle celebri <<feste dei folli>> che si svolgevano nelle chiese medievali ai Santi Innocenti, un asino veniva abbigliato da re o vescovo, e onorato prima di subire la finale bastonatura o semplicemente di tornare alla sua fatica quotidiana.
L'arcivescovo di Sens, Pierre de Corbeil, monrto nel 1222, aveva composto un poemetto, Le prose de l'Ane, che si recitava nelle chiese in quell'occasione. <<L'asino è venuto a noi dale contrade dell'oriente>> dicevano alcuni versi <<è bello, robusto, adattissimo a portare fardelli. Arri, Sire Asino, arri [...] La sua agilità supera quella dei cerbiatti, dei daini e dei capretti; i dromedari madianiti non l'uguagliano in velocità [...] La sua forza e la qualità dell'asino hanno attirato nella Chiesa l'oro di Arabia, con l'incenso e la mirra di Saba [...] Mangia l'oro in spiga, come il cardo; separa sull'aia il grano dalla paglia>>.
L'asino-Cristo come re che con il suo sacrificio dona la salvezza all'umanità: non è solo un'interpretazione personale di un vescovo medievale. Già si è detto che simbolo degli dèi degli Hyksos erano due orecchie d'asino poste sulla sommità di uno scettro. Ma vi sono anche testimonianze cristiane sul Cristo-asino. Nell'Antiquarium del Palatino, a Roma, è conservata una lastra di pietra, tratta dal muro del Paedagogium, sulla quale è incisa una figura umana che invia il bacio rituale a un uomo dalla testa asinina, crocifisso su un patibolo a forma di tau. Sotto la croce si legge l'iscrizione in greco: ALEXAMENOS CEBETE THEON (Alexamenos adora Dio). Poco lontano un'altra scritta spiega che Alexamenos era un cristiano: Alexamenos fidelis. Si dice che il graffito del III secolo sia la caricatura del Cristo tracciata da un pagano che voleva deridere la fede di un cristiano. Ma esistono altri documenti che risalgono al IV secolo: medaglie-amuleti che hanno inciso su una faccia un asinello mentre succhia la mammella di un'asina, con la scritta D. JHU DEI FILIUS, abbreviazione di Dominus noster Jesus Dei Filius (Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio). E nello stesso secolo Giovanni Crisostomo rimproverava i fedeli di portare quelle medaglie come talismani.
Marius Schneider, il massimo etnomusicologo del secolo scorso, ha spiegato l'origine di questo simbolismo riallacciandolo al raglio dell'asino. Secondo lo studioso tedesco la creazione avviene tramite un suono originario che contiene tutti gli archetipi del cosmo; il raglio asinino è uno di questi: <<Dal raglio del mondo primordiale invisibile sorge l'asino concreto e visibile, nella cui voce resta avvertibile ancora dentro il mondo concreto il suo "Nome" del tempo primordiale. Bisogna aver udito questo "grido duplice" dell'asino: come la voce dell'inspirazione si sollevi e con l'espirazione si precipiti nell'abisso per estinguersi in un rantolo crudele, per rendersi conto che essa è un modello acustico sorto dalla parola creatrice, incarnante la sostanza e il luogo cosmologico di questo animale con la specifica mescolanza dei vari caratteri. Il grido duplice, il suo sollevarsi e precipitarsi sono forme primordiali dell'ascesa e della caduta, della nascita e della morte>>.
Perciò la maschera asinina del Palatino si potrebbe interpretare, di là dalle intenzioni del suo autore, come allusione al grido di morte del Cristo in croce. D'altronde, spiega lo Schneider, la collocazione cosmologica dell'asino è fra notte e giorno, tra inverno e primavera. L'asino è omologo simbolicamente alla stella vespertina che conserva in sé il rosso del crepuscolo, ovvero la luce solare, fino all'alba quando, come stella mattutina, <<si sacrifica>> nell'aurora generando il cavallo solare. E' colui che porta in sé il sole nel periodo invernale per morire a primavera, quando l'astro fiammeggiante risale nell'alto del cielo, è colui che regna sul trapasso dal crepuscolo invernale fino all'aurora primaverile, e vine sacrificato perché espii, come il Re del Carnevale, i peccati dell'anno precedente rigenerando l'anno."

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Beppe Niccolai


24/12/2009, 15:03
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ciao
WOW!!!!
bellissimi contributi
grazie
A rielggerci
ciao

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Giuseppe Acella


24/12/2009, 15:11
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