Qualche piccola esperienza in materia me la sono fatta anch'io.
Intanto recuperando famiglie di api da vecchi bugni villici, incavi di tronchi di castagno, anfratti in vecchi muri, ecc. (erano i bei vecchi tempi senza varroa, i sciami in natura erano "molti" e popolosi almeno dalle mie parti).
Mentre le porzioni di favo che contenevano la covata erano alla distanza "standard", appena c'era la possibilita, dovuta alla conformazione del "buco", ho notato che le api ne approfittavano per allungare le celle a miele (sempre in alto) in modo anche molto pronunciato, tanto da raggiungere lunghezze della cella anche più che doppie. Quindi direi che l'ape, come tutto in natura segue lunee curve e flessibili, con magnifica adattabilità non disdegnando la tecnica più efficace per il progetto di base delle celle.
Non ho prove comparative di produzione, circa risultati quantitativi ottenuti dal passaggio ad un telaino in meno nel melario, però i benefici produttivi ottenuti con l'aumento dell'interspazio, sono stati rilevanti. Anch'io finchè non è arrivato Calissi, ho disopercolato con la forchetta, quella col manico in legno di produzione svizzera. Ora con la mia riduzione drastica degli alveari è tornata di attualità. (non le ho più viste in commercio, qualcuno ha notizie, erano la Mercedes delle forchette).
Ho invece tanti anni fa (40) comparato il risultato tra favi vergini e misti (qualche cella di covata dell'anno precedente) nel melario, previo uso di escludiregina.
Il risultato qualitativo del miele (acacia) era imbarazzante, colore, gusto erano così diversi da interrogarmi seriamente sul mio passato di "apicultore".
Per quanto mi riguarda, tali sono i benefici della escludiregina che non tornerei indietro neppure se mi si dimostrasse che senza si produce il doppio.
Anch'io oggi tengo le api per compagnia e per il miele per uso personale e amici se ne avanza.
Saluti Sergio