Oggi vi posto il procedimento per eseguire la lavorazione del “canestrato di Moliterno”, tipico e famoso formaggio lucano che viene prodotto con latte proveniente da alcune fattorie presenti anche nel mio piccolo paese di origine che si trova a soli 45 chilometri di distanza dallo stesso.
Le sue origini risalgono alla fine del 1600 e la sua produzione è stata sempre un crescendo; veniva e viene consumata non solo sul territorio nazionale ma soprattutto negli Stati Uniti Di America.
La particolarità di questo formaggio unico, è che da disciplinare, prevede la stagionatura esclusiva nei cosiddetti “Fondachi”, vere e proprie grotte/cantine, che devono avere rigorosamente caratteristiche ben precise; devono avere due aperture per far circolare l’aria, devono avere muri spessi almeno 40 centimetri in pietra o tufo, devono essere dislocati al altitudine maggiore ai 700 metri sul livello del mare, almeno due muri perimetrali devono essere interrati.
E’ un formaggio a latte misto ovino/caprino; la percentuale del latte ovino, va da un minimo del 70% ad un massimo del 90%, mentre quello caprino va da un minimo da un minimo del 10% ad un massimo del 30%. Il latte deve essere intero e crudo.
Le forme vengono conservate per i primi 30/40 giorni, direttamente dal produttore, che le gira tutti i giorni e le conserva in luoghi con temperature comprese fra i 6 e i 12 gradi ed umidità del 75/80%; dopo questo periodo le forme vengono trasferite nei fondachi, i quali grazie alle caratteristiche precedentemente elencate, hanno al loro interno un clima molto fresco ed asciutto con umidità che arrivano al massimo al 70/75% e temperature che nei periodi invernali arrivano anche a 2/3 gradi.
Infatti studiosi dell’università di Bari e Napoli, sostengono che questo particolare clima e umidità, conferiscono delle caratteristiche organolettiche uniche a questo tipo di formaggio.
Quando le forme vengono trasportate nei fondachi, è obbligatorio trattare la crosta o con olio di oliva, o con una emulsione di olio di oliva e aceto di vino oppure, trattarla con acqua fatta bollire per 30 minuti e all’interno della quale, viene disciolto e diluito il nero fumo raschiato dai camini in cui si fa ardere legna. Tutto ciò per preservare al massimo la superficie del formaggio da attacchi esterni e da crepe profonde.
Vi illustro il processo di produzione.
Prendo 5 litri di latte di pecora e lo miscelo con 2 litri di latte di capra all’interno della pentola, dopo averlo filtrato con cura.
Riscaldo velocemente a 38 gradi ed inoculo 140 grammi di yogurt (Fermenti termofili) pari al 2%, mescolo ed attendo 25 minuti affinchè il fermento agisca. Nel frattempo mi preparo il caglio in pasta di capretto (4 grammi), diluendolo e sciogliendolo in 20 grammi di acqua minerale naturale.
Riporto la temperatura a 38 gradi ed aggiungo il caglio, mescolo ed aspetto.
Dopo 20 minuti la cagliata è bella soda ed inizio il primo ed unico taglio che eseguo con un bastone in legno, alla grandezza di chicco di riso. Questa operazione va eseguita con molta delicatezza e calma per non perdere molta materia grassa, gli ho dedicato 5 minuti.
A questo punto lascio sotto siero per 10 minuti.
Dal momento in cui si aggiunge il caglio, al momento in cui bisogna estrarre la cagliata, devono trascorrere al massimo 35 minuti.
A questo punto, prelevo manualmente la cagliata ben depositata sul fondo della pentola, e trasferisco in fuscella per canestrato; esercito molta pressione sulla pasta per far fuoriuscire più siero possibile. Questa operazione dura quasi 15 minuti durante i quali rivolto la forma tre volte; quando ho finito l’operazione di infuscellamento, lascia a temperatura ambiente e nel frattempo con il siero rimasto e raccolto anche in fase di pressatura, faccio la ricotta.
A fine lavorazione della ricotta, riscaldo la scotta a 90 gradi ed immergo la forma compresa la fuscella al suo interno ed effettuo questa cottura sotto siero per un tempo massimo di tre minuti.
Ciò equivale ad una vera e propria stufatura e permette un ottimo spurgo di siero e la formazione ottimale della crosta.
A questo punto, lascio freddare a temperatura ambiente e dopo trasferisco in frigo a 8 gradi ed umidità 78%.
La salatura inizierà domani e durerà per 6 giorni (nelle forme più grandi arriva anche a dieci giorni) nell’ordine del 3%.
Lo terrò in queste condizioni per 30 giorni, dopodiché eseguirò il trattamento in crosta e lo stagionerò in un locale un po’ simile ad un fondaco ma non uguale.
Questo formaggio lo si può consumare “primitivo” o “stagionato” oppure “extra” sia come formaggio da tavola che da grattugia.
Se si stagiona fino a 6 mesi viene definito primitivo;
Da 6 a 12 mesi si definisce stagionato;
Oltre i 12 mesi si definisce extra.
Le mie intenzioni, sono quelle di produrre almeno 6/7 forme e stagionarle almeno fino a Maggio per poterle consumare come formaggio da grattugia. Una o due forme forse le aprirò prima.
La forma dopo il raffreddamento a seguito della cottura sotto scotta, pesa 1.5 Kg.
Vi terrò aggiornati sull’evoluzione di questo formaggio.
A presto.